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sabato 29 dicembre 2012

Il gas della Tanzania

di Davide Matteucci
(fonte www.agienergia.it) 

Nel corso degli ultimi mesi, numerose ed importanti scoperte di idrocarburi si sono susseguite lungo il versante orientale del continente africano. L’area sembra destinata ad emergere quale nuova fonte di approvvigionamento energetico, affiancando il Nord Africa e l’Africa Occidentale nel panorama continentale. Un recente studio della Us Geological Survey conferma questa ipotesi: le quattro province geologiche corrispondenti alle coste di Kenya, Tanzania, Mozambico, Madagascar e alle isole Seychelles custodirebbero 441 trilioni di piedi cubi (tcf) di gas naturale e 27 miliardi di barili di petrolio, non ancora scoperti, ma tecnologicamente accessibili1.
Sono state soprattutto le ingenti quantità di gas rinvenute nel tratto di mare antistante la costa meridionale della Tanzania e quella settentrionale del Mozambico a suscitare l’entusiasmo degli operatori del settore. Le maggiori scoperte sono avvenute nelle acque territoriali dell’ex colonia portoghese (grazie ai successi ottenuti da Eni e dall’americana Anadarko), ma anche il volume delle riserve di gas della Tanzania è aumentato considerevolmente nel corso del 2012: a febbraio la norvegese Statoil, in partnership con l’americana ExxonMobil, ha accertato la presenza  di circa 5 tcf nell’unico blocco di sua competenza, ai quali si sono aggiunti altri 3 tcf lo scorso giugno; anche le inglesi Bg Group e Ophir Energy, operative in joint venture in tre blocchi, sono state protagoniste di una serie di importanti scoperte, per un totale di circa 11 tcf. Oltre alle quattro multinazionali appena citate, in Tanzania sono presenti altre quattordici compagnie, tra le quali vale la pena di ricordare le inglesi Aminex e Solo Oil, la brasiliana Petrobras e la canadese Orca Exploration. Discorso a parte merita la Shell, i cui diritti di esplorazione si concentrano in una zona oggetto di un conflitto di attribuzione tra Dar es Salaam e l’arcipelago semiautonomo di Zanzibar, che blocca l’attività del colosso anglo-olandese.
 Le principali scoperte di gas realizzate in Tanzania e Mozambico

Fonte: nostre rielaborazioni su dati Financial Times


Dopo i recenti ritrovamenti, le riserve di gas naturale della Tanzania hanno raggiunto i 33 tcf,  secondo il dato riferito nell’ottobre 2012 dal ministero dell’energia e dei minerali del paese africano2 . Si tratta di una abbondanza di risorse i cui futuri profitti sono in grado di sostenere a rialzo gli alti tassi di crescita economica registrati negli ultimi anni (Ernst & Young ha di recente collocato la Tanzania al quinto posto tra le economie che cresceranno più velocemente da qui al 2015, con un incremento medio annuo del 7.2%3 ).
I nuovi giacimenti sono situati in acque non molto profonde, a poca distanza dalla costa e presentano rocce di copertura dall’elevata porosità e permeabilità. Si tratta di caratteristiche che riducono i costi di estrazione e trasporto e che assicurano ampie possibilità di stoccaggio. La posizione geografica, rende inoltre le risorse della regione particolarmente appetibili per i mercati asiatici, la cui domanda di gas naturale liquefatto è in forte crescita. 
Questo scenario, a cui si deve aggiungere il buon livello di stabilità politica del paese, attrae capitali dall’estero: secondo la banca africana Ecobank, nei prossimi 12 mesi in Africa Orientale affluiranno investimenti per 994 milioni di dollari. In Tanzania, le multinazionali puntano soprattutto a realizzare impianti per la liquefazione del gas, con l’obiettivo di avviare l’esportazione di Gnl:  il 2 ottobre 2012, la società americana Kbr ha comunicato di essere stata scelta dalla Statoil per effettuare uno studio di fattibilità; la Bg Group è invece già certa della viabilità commerciale dell’operazione, ipotizzando la costruzione di uno stabilimento con una capacità produttiva di 6,6 tonnellate all’anno (Mt/yr). Secondo i media locali, le due società potrebbero unire gli sforzi nella realizzazione di un unico progetto.

Sono poi molte le compagnie internazionali non ancora presenti nel ricco offshore tanzaniano, ma desiderose di  entrarvi nel breve periodo. I soggetti interessati ad acquisire diritti di esplorazione, dovranno tuttavia attendere l’approvazione della  nuova legge con la quale il parlamento si propone di regolamentare il settore. Il tema è attualmente al centro di un acceso dibattito interno, che ha già provocato il rinvio del round per l’assegnazione di nuove licenze, in programma lo scorso settembre. Il prossimo quadro normativo dovrà stabilire le modalità di assegnazione dei futuri contratti e i meccanismi attraverso cui il governo raccoglierà tasse e royalties. Le attuali norme risalgono al 1980 e sono giudicate penalizzanti nei confronti dello Stato, soprattutto dopo le recenti scoperte. 
Oltre alla ristrutturazione della compagnia nazionale (la Tanzania Petroleum Development Corporation - TPDC), è in fase di studio la costituzione di un fondo sovrano in grado di assicurare maggiore trasparenza nella gestione dei profitti derivanti dalle attività di estrazione. L’obiettivo è di evitare che l’improvvisa ricchezza di risorse produca un peggioramento della governance senza portare alcun beneficio alla maggioranza della popolazione, come già è accaduto in molti paesi africani.

La questione suscita però la preoccupazione degli operatori del settore, timorosi che la nuova legge colpisca i loro interessi, rallentando gli investimenti. Il governo ha peraltro comunicato che anche i  contratti attualmente in essere saranno sottoposti a revisione, lasciando presagire la nascita di contenziosi con le multinazionali, come quelli in corso in Uganda e in Kenya. I tempi necessari affinché i nuovi depositi entrino in produzione, risentiranno anche delle gravi carenze infrastrutturali che affliggono il paese e della pressoché totale assenza di manodopera specializzata: le stime più ottimistiche non prevedono l’avvio delle esportazioni prima del 2018.

In questo quadro, è significativa l’intenzione del governo di destinare una parte consistente delle risorse al mercato interno. La costruzione di un gasdotto che collegherà i campi onshore di Mnazi Bay (situati nella regione meridionale di Mtwara) alla capitale Dar es Salaam, lungo un percorso di 532 km, segue questa direttiva. Il gas sarà infatti utilizzato per produrre elettricità in quantità sufficiente ad alleviare la cronica mancanza di energia che impedisce lo sviluppo del paese. Questo progetto, i cui lavori sono partiti lo scorso 8 novembre,  è in larga parte finanziato dai cinesi della Exim Bank.


* Analista di questioni africane, collabora con Osservatorio Analitico



1 Us Geological Survey, Assessment of Undiscovered Oil and Gas Resources of Four East Africa Geologic Provinces, http://pubs.usgs.gov/fs/2012/3039/contents/FS12-3039.pdf , aprile 2012.
2Ministry of Energy and Minerals of Tanzania, The Natural Gas Policy of Tanzania, http://www.mem.go.tz/wp-content/uploads/2012/11/Natural-Gas-Policy-Draft-Management-MEM-29-October-2012.pdf , ottobre 2012.

3Ernst & Young, Building bridges Ernst & Young's 2012 attractiveness survey, http://emergingmarkets.ey.com/wp-content/uploads/downloads/2012/05/attractiveness_2012_africa_v16.pdf , febbraio 2012