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mercoledì 17 ottobre 2012

Il laterizio nella savana


di Ignazio Caruso

le nuove costruzioni in Tanzania tendono a ripetere schemi che vanno consolidandosi col tempo: una costruzione considerata moderna sembra non poter prescindere dall’avere una complessa copertura in lamiera su un unico piano fuori terra, realizzato in mattoni nascosti da un intonaco cementizio. Le case tradizionali erano sempre state realizzate in terra cruda con una copertura in paglia, poi in mattoni crudi eventualmente protetti da un intonaco in terra. Oggi non si può ignorare la diffusa volontà di imitare le tipologie in cemento armato dei paesi industrializzati e, in attesa che il costo del calcestruzzo divenga più accessibile, si preferisce ricrearne l’aspetto nascondendo i laterizi sotto una coltre di cemento.
In un villaggio nella provincia di Njombe si è cercato di invertire la tendenza: Wanging’ombe si trova nella regione di Iringa, a sud-ovest della Tanzania, posto nella savana tagliata dall’unica strada asfaltata che collega la città Mbeya e lo stato del Malawi a Dar es Salaam, la capitale economica situata a circa 1000 km di distanza. I suoi 15 mila abitanti sono dispersi su un’area immensa, senza veri e propri collegamenti stradali, e l’agglomerato più consistente di case è sulla strada carrabile. Poco distante da questa padre Tarcisio Moreschi, un prete italiano da più di trent’anni in Africa, ha immaginato l’inserimento di un centro di riabilitazione post-operatoria per i bambini disabili della regione, molto numerosi e spesso abbandonati – insieme alle loro famiglie – sia dal governo che dalla comunità locale.
Per costituire una prima base per un servizio di riabilitazione, che servisse come luogo d’incontro, è stato progettato un centro di aggregazione dei bambini disabili. Questo edificio non voleva differenziarsi troppo dalle costruzioni più tradizionali del villaggio ospite, né essere un anonimo luogo di cura di bambini “diversi” dagli altri e ignorati da tutti, ma doveva invece mostrarsi come un’architettura di cui la comunità potesse andar fiera.
Le più vecchie abitazioni dei Wabena – la tribù locale – sono in terra cruda e si compongono di due grosse e buie stanze, divise da un corridoio; più recentemente si sono trasformate in case in mattoni, crudi o cotti, e da un tetto a due falde in lamiera sui cui lati si trovano coperture ad un singolo spiovente.
Essendo il centro Bethzatha finanziato anche da soldi italiani, gli abitanti di Wanging’ombe si aspettavano che seguisse le mode degli arricchiti locali – con complicati tetti e cemento armato in quantità – ma vi è stata invece la precisa scelta di rivolgersi a forme più tradizionali e riconoscibili, per poter essere percepiti come una inclusione e, allo stesso tempo, una peculiarità del villaggio.
La popolazione ha contribuito alla sua edificazione, sia attraverso feste e aste per ottenere una parte dei fondi richiesti, sia grazie alla manodopera gratuita che ha creato le migliaia di mattoni necessari. Una volta terminata la Stagione delle Grandi Piogge, verso giugno un gruppo di artigiani ha cominciato a raccogliere il fango di un vicino terreno argilloso e l’ha compresso in stampi divisi in tre scomparti, per ricavarne i mattoni da essiccare al sole; appena maneggiabili, questi sono stati impilati a creare dei forni autoportanti dell’altezza di circa quindici file. Prima di cuocerli si sono sigillati con del fango tutti gli interstizi che all’esterno separavano un mattone da quello adiacente, in modo da impedire il passaggio di aria. Infine grossi tronchi hanno riempito l’imboccatura del forno, anch’essa richiusa, in modo da attuare una combustione lenta e senza fiamma per diversi giorni. Il risultato sono mattoni pieni, spesso di dimensioni leggermente diverse, piuttosto friabili, dei quali una buona parte risulta essere troppo cotta e, molte di più, troppo poco. In questi casi i mattoni anneriti – perché bruciati dalle fiamme – vengono usati sulla parte interna della muratura, in modo da non venire a contatto con gli agenti atmosferici ché in breve tempo li degraderebbero; essendo sconsigliabile un uso esterno anche dei mattoni poco cotti, se non protetti da un intonaco, essi vengono posti – insieme ai molti rotti – come base per la gettata di calcestruzzo che viene a costituire il pavimento.
Si è dunque rinunciato ad un rivestimento completo di intonaco preferendo mostrare le superfici tessute con una disposizione gotica dei laterizi (ancora poco usata a livello locale), che sono stati tra loro legati con una malta formata da due parti di sabbia e di terra e da 1/10 di cemento. Al di sotto di questi muri portanti è stata realizzata una fondazione continua composta da blocchi di una locale pietra granitica, posti sopra un letto di sabbia e legati con una malta bastarda di uguali parti di sabbia e di terra stabilizzata con un 10% di cemento e ancora sormontati da un cordolo in calcestruzzo armato. E data l’umidità portata dalle forti piogge stagionali, si è prestata cura nel rendere impermeabili le murature e la pavimentazione del centro grazie a una soluzione a basso costo: ai già citati mattoni rotti, usati come base per la gettata di calcestruzzo, si è infatti aggiunto un telo impermeabile ricavato dall’unione dei sacchi di cemento vuoti, che localmente sono in polipropilene.
La parte dell’edificio più esposta agli agenti atmosferici è stata intonacata e dipinta di arancione e azzurro per venire incontro al gusto locale, così amante dei colori accesi, e alla destinazione d’uso di un edificio pensato principalmente per i bambini: per loro sono anche stati pitturati interni ed esterni con animali in stile tingatinga, scuola artistica tipica della Tanzania.
E ai bambini è stato dedicato uno dei cinque pilastri che reggono il portico, composto di parallelepipedi cavi normalmente usati per realizzare piccole finestre, qui coricati, traslati, armati e riempiti di calcestruzzo per dare più movimento alla struttura. Se quattro pilastri sono identici, ve n’è uno più piccolo, in disparte, che rappresenta bene la loro condizione di disabili all’interno di una società che – più di altre – fatica ad accettarli: ma a differenza degli altri questo è un pilastro colorato di tonalità diverse, e per loro è certamente il più bello, incessantemente impreziosito dalle impronte con le quali i nuovi bambini ospiti firmano l’appartenenza al loro centro.

venerdì 5 ottobre 2012

Mama Africa Circus


foto di Irene Aprile


A partire da Venerdì 28 Settembre fino a Domenica 4 Novembre 2012 al Mancom Centre, New World Cinema, Mwenge.
Una festa spettacolare e ricca di sorprese, articolata in 18 atti fra show di canto, danza (tradizionale e contemporanea), giocoleria, contorsionismo, equilibrismi, evoluzioni aeree, piramidi umane e molto altro ancora.
Il circo Mama Africa è un grande evento del panorama artistico tanzaniano, sostiene e celebra l'arte in questo paese. Gli organizzatori sono fiduciosi che possa incoraggiare altri membri della comunità a promuovere, sempre più, forme di cultura.
Creata nel 2003 come scuola  acrobatica, dal produttore e regista Winston Ruddle, Mama Africa Circo si è trasformata in una notevole piattaforma per la presentazione dell'innato talento acrobatico africano. Ha prodotto più di 150 acrobati e ballerini provenienti da Tanzania e altri paesi africani che sono andati ad esibirsi in tantissimi spettacoli in tutto il mondo
Prezzi dei biglietti: 30.000Tsh per la prima fila e 20.000tsh per le altre. 

Esibizioni:
da Mercoledì a Domenica alle ore  8:00 pm;
da Venerdì a Domenica anche alle ore 3.00 pm;

Prenotazioni: +255 75 9586798,   +255 787517292,  +255 778385238

bookings@mancom.co.tz
www.mancom.co.tz


 

giovedì 4 ottobre 2012

Mal d'Italia

di Matilde Ner
Qui non piove da mesi. All’oro delle colline bruciate dal sole si contrappone il verde smeraldo dei campi di tè e il mio obiettivo dell’anno è chiarissimo. Voglio trovare un tanzaniano a cui non piaccia l’attore StevenKanumba, la cui tragica prematura comparsa ha completato la divinizzazione in corso. Steven Kanumba recita male ma gli attori accanto a lui peggio. Rappresenta il sogno, l’arrivare e l’avere, la meta e una brutta copia dell’Occidente. Soldi, successo, donne e macchine insomma, la felicità. E piace a tutti, donne e bambini, vecchi e giovani, a prescindere dall’educazione e dal ceto. Nell’attesa di raggiungere la mia ambiziosa meta scopro piccoli segreti africani. Tutte le vacche del mondo sono dei Masai, questo loro pensano. Lengai, il loro Dio, disse così e ogni mucca altrui è furto. Ho scoperto poi che qualsiasi foglia verde se non velenosa può essere soffritta con cipolle e pomodori e diventare un contorno, che in tutta la Tanzania, quando un uomo sposa una donna deve pagare alla famigliala sposa (a Nyololo ora i prezzi si aggirano sui 300 euro per moglie), che un‘importante multinazionale svizzera possiede il monopolio del costoso latte in polvere in tutta Africa e che infine qui il seno è solo organo di nutrimento non ha il significato erotico che ha in Occidente. Si allatta sempre e ovunque. I contadini qui, come forse tutti i contadini del mondo, sanno tutto e niente. Molte nozioni per la metà scientifiche per la metà contadine, quel misto di pregiudizi gretti e antica saggezza. Ho visto una donna portare in testa in un secchio 4 zampe di mucca davendere (2 euro a zampa!). Un altro segreto: la luce della luna piena, sovrana indiscussa delcielo, ci regala la nostra ombra anche se notte se le nuvole sono scappate. Fuori dalle banche di Tanzania ci sono le guardie giurate e hanno fucili talmente vecchi che sembrano baionette della rivoluzione francese. Un altro: il fatto che le bottiglie di Coca-Cola, le ricariche del telefono, le bandiere verdi del partito arrivano ovunque anche nei villaggi remoti senza elettricità né acqua è la prova che tutto in questo mondo può arrivare ovunque. Quindi anche farmaci, libri, pensieri.Ogni 20 del mese c’è un mercato in villaggio e si vendono oggetti di seconda mano, cibarie, scarpe e scarpette, stoffe, uniformi scolastiche, pentolame, quaderni, penne. E così arrivarono i colbacchi a Nyololo. Vita in swahili vuol dire guerra. E ci sono parole uniche in questa lingua che in italiano possono essere solo tradotte con frasi. Per esempio intrecciare il tetto di una capanna, strappare la carne dall’osso, il buco lasciato da un dente mancante. Un altro segreto irrisolto. Non capisco come le persone non abbiano schifo a stare così vicine da toccarsi in dala dala, tutti accettano l’altro e i suoi odori. Nei dala dala, dopo numerosi studi svolti, non c’è alcuna strategia per un viaggio decente. Troppi parametri imprevedibili in gioco. Tra cui: casse della musica, sedile extra del corridoio in cui devono stare 2 o 3 persone e mai 1, posizione ruota di scorta, presenza non uniforme dei sacchi di patate sul fondo, destinazione di quelli accanto a te, bambini nelle vicinanze, contadino con gallo, uomo che sa di carbone, donna robusta o meglio matrona con acquisti voluminosi, finestrino rotto per cui ci sarà troppa polvere o farà troppo caldo. Forse conviene affidarsi al caso che sceglierà per te. In dala dala ho conosciuto un’attivista contro la corruzione, un altro contadino arrabbiato e una commerciante di biancheria intima che dopo avermi rivelato la sua sieropositività mi ha regalato una shanga. Una shanga è un filo di perline colorate da mettere alla vita, la parte più preziosa e proibita del corpo di donna. E’ una confidenza, un’intimità, un segreto tra donne, e solo una donna può regalarla ad un’altra come augurio di una buona sessualità. Nessuno uomo se non il proprio amante può vedere la shanga di una donna. E così lei con fare malizioso e complice me la mise in borsa attenta che nessun uomo ci stesse vedendo. Se mi esce dalla gonna e cammino in strada, perfino un estraneo mi invita a nasconderla dove è giusto stia. E’ pudore. E infine capita che prima dei tre anni di vita i bambini non ricevano un nome: è così precaria la vita che non conviene crederci. Il mio collega Jacob si sposa il 2 gennaio, vuole essere il primo uomo non poligamo della sua famiglia. Sarà un marito premuroso, forse il primo della sua stirpe. Si soffre con grande dignità quasi in silenzio che tu sia un bambino da circoncidere a cui l’anestesia non ha fatto effetto o una donna incinta con un travaglio che è un’agonia. I bimbi sono le creature di tutti, chiunque in dala dala prenderà in braccio per tutta la durata del viaggio il bambino di chissà chi. A volte sono stordita nel vedere come pura bellezza e mostruosità possano convivere senza calpestarsi ma forse è anche questo lo stupore del mondo. Un ultimo segreto, veramente. Non esiste solo il mal d’Africa ma anche il mal d’Italia così imperfetta nella sua meraviglia. Tutto ciò che mi manca della mia terra però è gratis. E così a volte, la sera, annuso l’origano e la sua struggente fragranza mediterranea.

martedì 2 ottobre 2012

Danze Acrobazie Musica a Bagamoyo

E' appena terminato il 31° Festival delle Arti e Culture di Bagamoyo (23-29 Settembre),  per gli appassionati c'è un ulteriore evento da non perdere: il 6 Ottobre alle ore 17, sempre all'auditorium di Bagamoyo, avrà luogo lo spettacolo Umoja organizzato da Cultural Flying Carpet (www.umojacfc.com/).

Parteciperanno gruppi folkloristici da Tanzania, Uganda, Kenya, Etiopia e Norvegia.

L'evento è GRATUITO!


       Festival di Bagamoyo, 29 Settembre  (foto Francesco Cosentini)