di Francesco Cosentini
tempo fa ho letto il libro "La carità che uccide" della zambiana Dambisa Moyo, il filo conduttore è l'attenta analisi che conduce allo scopo di confutare un luogo comune, ossia l’elargizione di “aiuti” stranieri come reali possibilità di sviluppo per l’Africa . D’altronde in “Africa Strangolata” del 1985 l’autore, René Dumont, affermava circa la questione:
"Gli aiuti rinchiudono coloro che ne accettano le catene dorate nel ciclo infernale di una dipendenza crescente”.
Una delle possibili soluzioni suggerite dalla Moyo per invertire la tendenza assistenziale –che bracca i paesi in via di sviluppo- è il micro credito: la rivoluzione economica e sociale di Muhammad Yunus, considerato il padre di questa forma di intervento e premio Nobel per la pace 2006.
Non nascondo un certo compiacimento, a breve con l’associazione Sicomoro onlus di Milano festeggeremo il 4º anno dalla nascita del progetto di micro credito avviato a Mtwango, un piccolo villaggio fra la cittadina di Makambako e Njombe nella regione di Iringa. Ho avuto il piacere di vederlo nascere e pascere, continuo a seguirlo (incontri periodici) con entusiasmo, quasi come se stessi crescendo un bimbo. Sono di parte, lo ammetto, ma è sincero affermare che dopo questi anni il bilancio regala risultati positivi (statistiche alla mano i tassi di restituzione sono stati oltre il 90%, bilancio mensile positivo fra entrate e uscite, tanto per citare alcuni dati). Ovvio non mancano i problemi, ma gli apprezzabili successi compensano ampiamente gli sforzi fatti.
René Dumont continuava dicendo:
“Ogni progetto elaborato in assenza dei diretti interessati, che rifiuti di tener conto delle loro opinioni e dipenda unicamente da un finanziamento esterno (che non abbia la possibilità di mobilitare la popolazione) non può che fallire.”
Alla luce di questa preziosa consapevolezza –che dovrebbe costituire un’essenziale prerogativa- qualsiasi passo compiuto è stato frutto dell’intesa con tutti i beneficiari del progetto.
Iniziative, modalità, risoluzioni di problemi e quant’altro vengono discusse con la comunità locale, importanti e funzionali decisioni sono suggerite dal dialogo in loco piuttosto che da pianificazione a tavolino dall’Italia.
All’inizio dei lavori, nell’Ottobre 2008, il nostro “ufficio” era una polverosa stanzetta dismessa adiacente la macina per la farina: per scrivere avevamo esclusivamente una panca di legno. Non nego il fascino di una situazione spartana nel contesto di un villaggio tanzaniano tuttavia le necessità hanno imposto un luogo certamente più idoneo dove poter accogliere il crescente numero di beneficiari e lavorare tranquilli. E’ così nasce l’ufficio, sede della banca dei poveri. Sicomoro viene registrata presso il Ministero per lo sviluppo e gli affari sociali a Dar es Salaam e riconosciuta N.G.O. tanzaniana.
Da principio il progetto fu denominato: “ Un porcellino salvadanaio!” I prestiti servivano infatti ad allevare maialini, una volta venduti il ricavato avrebbe costituito il patrimonio del beneficiario, favorendo un’ottica di piccolo risparmio.
Nel corso dei mesi l’utilizzo dei prestiti si è diversificato: vendita al dettaglio di vestiti e prodotti alimentari (specialmente farina di mais, pesce essiccato, frutta e olio di semi di girasole), nell’agricoltura per fertilizzanti ed attrezzi, ma anche allevamento di polli e altri animali. Alcune mama (termine swahili che letteralmente vuol dire madre) hanno aperto dei punti di ristoro qui denominati mgahawa.
L’area in questione quasi esclusivamente rurale, risente in modo sensibile dell’incidenza dell’aids e di riflesso tante donne sono rimaste sole con enormi difficoltà per crescere i propri figli, il progetto è partito in particolar modo per sostenerle. Successivamente è stato esteso a persone non malate che però avessero reali necessità. Ciò ha comportato molta fatica e difficoltà nel valutare ogni singola situazione. A poco sono serviti una serie di accorgimenti per scoraggiare le richieste di quanti tutto sommato non avessero così bisogno del prestito. Nonostante la società sia stratificata ed esistano differenze economiche sostanziali, chiunque all’occorrenza e per opportunismo può definirsi povero. Come ignorare le enormi differenze tra quanti vivono di stenti e chi possiede attività commerciali bene avviate, terreni da coltivare o altre forme di introiti? L’accessibilità è rivolta in particolar modo a persone che non possono dare alcuna garanzia! Infatti, sorridendo il mio slogan ai collaboratori locali è: “Ricordate, prestiamo soldi a chi non può restituire!”

Dal Gennaio 2010 l’ufficio è guidato esclusivamente da staff locale, non figure specifiche e professionalmente formate ma persone volenterose del villaggio che hanno deciso con coraggio di darci una mano. Non esiste interesse sul prestito se non una tassa di ingresso, che serve a favorire il processo aumento del capitale senza ulteriori investimenti esterni. Ad oggi, riusciamo a fare circa 15 nuovi prestiti al mese, rispetto agli 8-9 del 2008-2009. Le persone coinvolte provengono dai villaggi della kata di Mtwango (circoscrizione amministrativa che raggruppa diversi villaggi).
Un proverbio dei Bambara del Mali recita: “A poco a poco, “poco” diventa di più!”, ne ho scoperto un altro simile in swahili (per rimanere in tema): “Haba na haba hujaza kibaba!” (letteralmente: goccia dopo goccia si colma il vaso!
Fra i beneficiari ci sono anche ritardatari, l’esperienza ha insegnato che nella maggioranza dei casi queste situazioni si risolvono semplicemente con un pò di pazienza, da parte loro c’è tutta la buona volontà di onorare il patto e preservare così la propria dignità. Rischio di cascare nel più classico dei classici luoghi comuni, e non voglio fare generalizzazioni o dire cose di parte, eppure (anche in questo caso le statistiche ci aiutano, nero su bianco) i più volenterosi sono stati i più indigenti in assoluto!
Di recente è stato definito il numero massimo di prestiti per singolo beneficiario, l'"accoglienza" prolungata diventerebbe altresì una forma di dipendenza e non ci sarebbe spazio per altri. Il sostegno è inteso esclusivamente come supporto, lo scopo è raggiungere l’autonomia economica. In tanti casi c'è la buona volontà e idee per lavorare ma mancano le risorse per svilupparle. Il traguardo consentirebbe al beneficiaro e alla sua famiglia un passo avanti per migliorare la sua condizione: la grande speranza di liberarsi dalle tenaglie dell’elemosina e dell’indigenza. Potrebbe essere prematuro trarre conclusioni definitive, è tuttavia ottimistica la giusta direzione che il progetto è proiettato ad intraprendere nonostante sia così giovane.
Tanti dicevano senza mezzi termini che avremmo fallito di lì a poco, sostenendo l’impossibilità di lasciare qualcosa nelle “loro mani”! (dei tanzaniani)
Interessante a tal riguardo un mito africano, metaforicamente definisce l’incontro fra il mondo dei bianchi e dei neri.
E’ un dialogo fra due maschere: quella dell’uomo bianco con orecchie molto piccole ed una bocca tanto grande, di contro la maschera africana ha una bocca molto piccola con delle grandi orecchie. Da un lato c’è il rischio della propensione a parlare tanto nella convinzione di sapere tutto, dall’altra ci può essere impossibilità di replica e l’ascolto rassegnato o furbo, oppure più semplicemente una grande saggezza.
Bisognerebbe lasciarsi guidare dal buon senso , con attenzione alle persone per quel che sono senza schemi fissi e preconcetti. Occorre essere fiduciosi e lavorare per una reale sostenibilità, altrimenti ci sarà sempre un rapporto diseguale dove pochi impartiscono lezioni dall’alto senza abbandonare la propria posizione privilegiata.
Nella mia esperienza, per quanto possa apparire retorico, un aspetto importante sono le relazioni umane: complicate certo, a volte troppo, ma anche fonte di continui stimoli e sorprese.
Si è sviluppata la consapevolezza di un impegno comune verso un modello di crescita non basato sul semplice donare fine a se stesso ma capace di coinvolgere entrambe le parti in maniera attiva.
Le dimostrazioni di stima e affetto sono molteplici, non potrei avere migliore occasione per ricordare una nostra collaboratrice, Epifania Kinyamagoha, venuta a mancare a causa dell’aids.
Aveva un sorriso grande e tanta energia, un giorno dopo un incontro mi disse :
“ Prima camminavamo a testa bassa con lo sguardo spento. Guardaci adesso, ridiamo e saltiamo dalla gioia”.
E ancora, il presidente del comitato Braison Mgindo, qualche giorno fa in risposta alla mia domanda se procedesse tutto per il verso giusto, ha candidamente risposto: “Immagina di essere dentro una foresta, all’inizio sembri perso, poi d’improvviso vedi l’uscita!”
Non voglio strappare lacrimucce né indorare la pillola, ricevere una testimonianza del genere è un’emozione impagabile e forse racchiude il senso più significativo dello stare qui. Questi stimoli uniti alla passione saranno sempre fonte di ulteriore ispirazione nel tentativo di migliorarsi.
Fonti bibliografiche:
-La carità che uccide. Come gli aiuti dell'Occidente stanno devastando il Terzo mondo.
Autore: Moyo Dambisa.
Editore: Rizzoli.
Data di pubblicazione: 2010.
-L’Africa strangolata: Zambia, Tanzania, Senegal. Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Capo Verde.
Autore: René Dumont, Marie-France Mottin
Editore: SEI
Data di pubblicazione: 1985
-Il banchiere dei poveri.
Autore: Muhammad Yunus
Editore: Feltrinelli
Anno di pubblicazione: 1998