da EcoInchiesta
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Uranio è una parola che non esiste nel linguaggio delle popolazioni della zona di Bahi. Ma al governo centrale e alle multinazionali interessano poco i diritti e la salute degli abitanti di una regione così povera che ha la presunzione di poter abitare, pescare e coltivare riso sopra un enorme giacimento d’uranio.
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Lontano dai paradisi naturali del Kilimangiaro, del parco nazionale del Serengeti o del lago Vittoria, in una povera e brulla regione al centro della Tanzania, le multinazionali dell’uranio mirano ad estrarre e trattare sul posto 14 milioni di tonnellate dell’ambito metallo.
Uranio è una parola che non esiste nel linguaggio delle popolazioni della zona di Bahi, che vivono dalla pesca nel grande lago Sulunga e di coltivazione di riso nei mesi delle piogge. Ma al governo centrale e alle multinazionali interessano poco i diritti e la salute degli abitanti di una regione così povera che ha la presunzione di poter abitare, pescare e coltivare riso sopra un enorme giacimento d’uranio.
Tanto più che queste persone non hanno nessun tipo di certificato che attesti le loro proprietà, semplicemente ci vivono da secoli, senza aver mai avuto bisogno di alcun documento.
Poche chiacchiere, i locali devono sloggiare o – se sono così ostinati da voler restare nelle loro terre – dovranno subire le conseguenze radioattive dell’estrazione e della lavorazione del metallo che andrà ad alimentare le centrali nucleari. Il sottosuolo di Bahi, è un grosso affare per pochi, ma certo non lo è tanto per le popolazioni locali, che non sono riuscite neppure a strappare l’esplicita promessa di avere in cambio dalla concessione mineraria ospedali e scuole.
Lo stesso stratagemma è stato utilizzato dalla francese Areva in Niger. Da questo stato infatti proviene l’uranio utilizzato nelle centrali nucleari francesi e il Niger, per assurdo, acquista l’energia elettrica dalla vicina Nigeria. Complice la decisione del governo Merkel di prorogare l’utilizzo degli impianti nucleari fino al 2040 e l’intenzione del governo italiano di tornare al nucleare, il prezzo dell’uranio è salito in maniera esponenziale.
Dopo Fukushima poi, la Germania è tornata indietro a furor di popolo sulla proroga e ha deciso che chiuderà definitivamente le centrali nel 2022.  Il governo italiano ha tentato invece di aggirare il problema, prima spezzettando gli appuntamenti elettorali, quindi, dopo il disastro dello tsunami, tentando d’invalidare il referendum per poi riservarsi di decidere nel 2012, così da avere un’opinione pubblica già domata e dimentica delle allarmanti notizie sulle fughe radioattive giapponesi.
La scelta politico mediatica di consolidare la propria base di consenso grazie alla disinformazione, stimolandola e prosperando sui bassi istinti del cittadino medio, questa volta si è ritorsa contro i suoi stessi fautori. [...] Non è mai bene decidere impulsivamente. Non è bene decidere impulsivamente quando ci si trova sottoposti al fuoco mediatico dell’emergenza-stupri ad opera dei rumeni, all’emergenza-sbarchi dei clandestini o alla decisione sull’utilizzo o meno dell’energia nucleare. Può quindi capitare che chi tanto spinge per avere come interlocutori dei cittadini-consumatori acritici, veda questa sua strategia rovesciarglisi contro.
Quando l’incubo di Černobyl’ era oramai un vago ricordo e Three Miles Island del tutto cancellato, ecco la tragedia del terremoto-tsunami e Fukushima che risvegliano bruscamente tutti dal torpore che a tutto accondiscende. C’era un vecchio fumetto di Martin Mystère dove la terra veniva rappresentata come un organismo vivente in senso biologico, che agiva comunicando con piante e animali per mettere un freno alle follie dell’uomo.
La fantasia spesso riesce a rappresentare la realtà meglio della realtà stessa, ma vorrei concludere esortandovi ad informarvi, quindi a “conoscere per deliberare”.