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sabato 29 dicembre 2012

Il gas della Tanzania

di Davide Matteucci
(fonte www.agienergia.it) 

Nel corso degli ultimi mesi, numerose ed importanti scoperte di idrocarburi si sono susseguite lungo il versante orientale del continente africano. L’area sembra destinata ad emergere quale nuova fonte di approvvigionamento energetico, affiancando il Nord Africa e l’Africa Occidentale nel panorama continentale. Un recente studio della Us Geological Survey conferma questa ipotesi: le quattro province geologiche corrispondenti alle coste di Kenya, Tanzania, Mozambico, Madagascar e alle isole Seychelles custodirebbero 441 trilioni di piedi cubi (tcf) di gas naturale e 27 miliardi di barili di petrolio, non ancora scoperti, ma tecnologicamente accessibili1.
Sono state soprattutto le ingenti quantità di gas rinvenute nel tratto di mare antistante la costa meridionale della Tanzania e quella settentrionale del Mozambico a suscitare l’entusiasmo degli operatori del settore. Le maggiori scoperte sono avvenute nelle acque territoriali dell’ex colonia portoghese (grazie ai successi ottenuti da Eni e dall’americana Anadarko), ma anche il volume delle riserve di gas della Tanzania è aumentato considerevolmente nel corso del 2012: a febbraio la norvegese Statoil, in partnership con l’americana ExxonMobil, ha accertato la presenza  di circa 5 tcf nell’unico blocco di sua competenza, ai quali si sono aggiunti altri 3 tcf lo scorso giugno; anche le inglesi Bg Group e Ophir Energy, operative in joint venture in tre blocchi, sono state protagoniste di una serie di importanti scoperte, per un totale di circa 11 tcf. Oltre alle quattro multinazionali appena citate, in Tanzania sono presenti altre quattordici compagnie, tra le quali vale la pena di ricordare le inglesi Aminex e Solo Oil, la brasiliana Petrobras e la canadese Orca Exploration. Discorso a parte merita la Shell, i cui diritti di esplorazione si concentrano in una zona oggetto di un conflitto di attribuzione tra Dar es Salaam e l’arcipelago semiautonomo di Zanzibar, che blocca l’attività del colosso anglo-olandese.
 Le principali scoperte di gas realizzate in Tanzania e Mozambico

Fonte: nostre rielaborazioni su dati Financial Times


Dopo i recenti ritrovamenti, le riserve di gas naturale della Tanzania hanno raggiunto i 33 tcf,  secondo il dato riferito nell’ottobre 2012 dal ministero dell’energia e dei minerali del paese africano2 . Si tratta di una abbondanza di risorse i cui futuri profitti sono in grado di sostenere a rialzo gli alti tassi di crescita economica registrati negli ultimi anni (Ernst & Young ha di recente collocato la Tanzania al quinto posto tra le economie che cresceranno più velocemente da qui al 2015, con un incremento medio annuo del 7.2%3 ).
I nuovi giacimenti sono situati in acque non molto profonde, a poca distanza dalla costa e presentano rocce di copertura dall’elevata porosità e permeabilità. Si tratta di caratteristiche che riducono i costi di estrazione e trasporto e che assicurano ampie possibilità di stoccaggio. La posizione geografica, rende inoltre le risorse della regione particolarmente appetibili per i mercati asiatici, la cui domanda di gas naturale liquefatto è in forte crescita. 
Questo scenario, a cui si deve aggiungere il buon livello di stabilità politica del paese, attrae capitali dall’estero: secondo la banca africana Ecobank, nei prossimi 12 mesi in Africa Orientale affluiranno investimenti per 994 milioni di dollari. In Tanzania, le multinazionali puntano soprattutto a realizzare impianti per la liquefazione del gas, con l’obiettivo di avviare l’esportazione di Gnl:  il 2 ottobre 2012, la società americana Kbr ha comunicato di essere stata scelta dalla Statoil per effettuare uno studio di fattibilità; la Bg Group è invece già certa della viabilità commerciale dell’operazione, ipotizzando la costruzione di uno stabilimento con una capacità produttiva di 6,6 tonnellate all’anno (Mt/yr). Secondo i media locali, le due società potrebbero unire gli sforzi nella realizzazione di un unico progetto.

Sono poi molte le compagnie internazionali non ancora presenti nel ricco offshore tanzaniano, ma desiderose di  entrarvi nel breve periodo. I soggetti interessati ad acquisire diritti di esplorazione, dovranno tuttavia attendere l’approvazione della  nuova legge con la quale il parlamento si propone di regolamentare il settore. Il tema è attualmente al centro di un acceso dibattito interno, che ha già provocato il rinvio del round per l’assegnazione di nuove licenze, in programma lo scorso settembre. Il prossimo quadro normativo dovrà stabilire le modalità di assegnazione dei futuri contratti e i meccanismi attraverso cui il governo raccoglierà tasse e royalties. Le attuali norme risalgono al 1980 e sono giudicate penalizzanti nei confronti dello Stato, soprattutto dopo le recenti scoperte. 
Oltre alla ristrutturazione della compagnia nazionale (la Tanzania Petroleum Development Corporation - TPDC), è in fase di studio la costituzione di un fondo sovrano in grado di assicurare maggiore trasparenza nella gestione dei profitti derivanti dalle attività di estrazione. L’obiettivo è di evitare che l’improvvisa ricchezza di risorse produca un peggioramento della governance senza portare alcun beneficio alla maggioranza della popolazione, come già è accaduto in molti paesi africani.

La questione suscita però la preoccupazione degli operatori del settore, timorosi che la nuova legge colpisca i loro interessi, rallentando gli investimenti. Il governo ha peraltro comunicato che anche i  contratti attualmente in essere saranno sottoposti a revisione, lasciando presagire la nascita di contenziosi con le multinazionali, come quelli in corso in Uganda e in Kenya. I tempi necessari affinché i nuovi depositi entrino in produzione, risentiranno anche delle gravi carenze infrastrutturali che affliggono il paese e della pressoché totale assenza di manodopera specializzata: le stime più ottimistiche non prevedono l’avvio delle esportazioni prima del 2018.

In questo quadro, è significativa l’intenzione del governo di destinare una parte consistente delle risorse al mercato interno. La costruzione di un gasdotto che collegherà i campi onshore di Mnazi Bay (situati nella regione meridionale di Mtwara) alla capitale Dar es Salaam, lungo un percorso di 532 km, segue questa direttiva. Il gas sarà infatti utilizzato per produrre elettricità in quantità sufficiente ad alleviare la cronica mancanza di energia che impedisce lo sviluppo del paese. Questo progetto, i cui lavori sono partiti lo scorso 8 novembre,  è in larga parte finanziato dai cinesi della Exim Bank.


* Analista di questioni africane, collabora con Osservatorio Analitico



1 Us Geological Survey, Assessment of Undiscovered Oil and Gas Resources of Four East Africa Geologic Provinces, http://pubs.usgs.gov/fs/2012/3039/contents/FS12-3039.pdf , aprile 2012.
2Ministry of Energy and Minerals of Tanzania, The Natural Gas Policy of Tanzania, http://www.mem.go.tz/wp-content/uploads/2012/11/Natural-Gas-Policy-Draft-Management-MEM-29-October-2012.pdf , ottobre 2012.

3Ernst & Young, Building bridges Ernst & Young's 2012 attractiveness survey, http://emergingmarkets.ey.com/wp-content/uploads/downloads/2012/05/attractiveness_2012_africa_v16.pdf , febbraio 2012

giovedì 22 novembre 2012

Il viaggio è solo all'inizio


di Maurizio Gino Morandini

Due mesi. Un lasso di tempo relativamente breve per poter azzardare anche solo qualche parziale giudizio su un Paese diverso dal proprio, però forse sufficiente per iniziare ad annusarne l’aria, a tastarne gli umori, a gustarne i primi titubanti bocconi. Non è sufficiente viaggiare per conoscere il mondo; se non si ha il coraggio di spogliarsi dei propri schemi mentali, delle incrostazioni culturali che rendono miopi, si potranno al più collezionare immagini esotiche e strambi ricordi da raccontare ad amici e parenti una volta tornati tra i rassicuranti confini natii. Porsi in silenzioso ascolto, mettersi in disparte e osservare discreti, senza lasciarsi abbindolare dalle abitudini note, che prepotenti premono per riemergere dall’angolo in cui son state relegate; cercare di entrare in relazione paritaria con chi si ha di fronte, provare a comprenderne gli usi, i costumi, i modi di dire e di agire, cominciare a sondarne mentalità e cultura, stupito ma non ingenuo esploratore: è forse questa la strada migliore per far fruttare la possibilità di viaggiare, di spostarsi, di migrare. Questa, almeno, è la via che ho intrapreso giungendo a Ilembula, Tanzania, il 20 settembre scorso; potrebbe essere errata, non credendo esista il valore assoluto di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma ho deciso di percorrerla speranzoso, convinto di ricavare soddisfazione e insegnamenti preziosi lungo il cammino. Fino ad ora sono due le cose che mi hanno colpito maggiormente, e portano nomi irresistibili: allegria e serenità. L’allegria è contagiosa: le persone, pur con il carico di fatica che l’esistenza ha dato loro, sembrano sempre contente, lavorano con leggerezza, salutano con il sorriso sulle labbra; non è per nulla complicato lasciarsi trascinare, coinvolgere da questa gaiezza che risveglia la voce dell’infanzia, spesso oscurata dalle esigenze del diventare grandi. Mi piace sostare e ammirare il riso spontaneo che nasce nell’incontro con l’altro, amico od estraneo che sia, mentre in altri luoghi l’altro spaventa, fa paura perché costringe a confrontarsi con se stessi, a riconoscere il proprio volto nel volto di chi si ha di fronte. Non si tratta di semplice accoglienza o di disponibilità, è mancanza di barriere, di steccati che dividono, che proteggono l’io dagli altri. In me rimane la consapevolezza di essere un mzungu, uno straniero dalla pelle bianca, e ciò è una costante che non potrà mai scomparire. Tuttavia, questo essere straniero non comporta un’alterità spiccatamente marcata come accade invece spesso in situazioni capovolte; qui è possibile sentire a fondo l’appartenenza all’unica grande famiglia che ci rende tutti fratelli. La serenità, poi, è forse la caratteristica che più ho apprezzato, ritrovandola in dosi talmente massicce da non credere potesse esistere una tranquillità siffatta. I ritmi a cui ci costringe, e ci abitua, la nostra società sono talmente rapidi e frenetici che risulta quasi impossibile ritagliarsi gli spazi necessari per potersi distendere e rilassare; le attività che si affrontano quotidianamente sono foriere di un’alta quantità di stress, perché intrise di imperativi contrari al benessere psicofisico dell’essere umano: efficienza, efficacia, velocità, competitività, accanita difesa dello status acquisito, volontà di rapida risalita della scala sociale. In Tanzania, osservando la gente mentre compie i propri riti quotidiani, mentre lavora, cucina, chiacchiera o commercia, ci si accorge che nulla si trova sotto la mannaia della fretta; si adempie alle proprie faccende con calma e distensione, senza frenesia. Non pare esserci quella spasmodica attesa di qualcosa di là da venire, che nell’opulento Occidente lascia un pertugio di insoddisfazione nelle nostre menti, sempre tese verso nuovi obiettivi, verso scopi futuri, suggerendo che, forse, si ama più il desiderio in sé che la cosa desiderata: insoddisfatti, mai appagati, cerchiamo di colmare il vuoto dei sentimenti riempiendoci di oggetti da possedere, mete da raggiungere, posizioni da conquistare. Nei tanzaniani colgo invece una profonda serenità nei confronti della propria esistenza, una serenità che permette di gustare ogni giorno, ogni ora, ogni attimo vissuto, sorta di carpe diem africano, che aiuta ad affrontare con animo lieto e fortificato gli accidenti, le perdite, gli imprevisti, anche i più dolorosi. Può benissimo darsi che questa linea di lettura sia dettata più dai miei stereotipi e dai miei bisogni nascosti; può essere che la chiave di interpretazione utilizzata in questa breve analisi sia completamente fallace, e non condivisibile da chi conosce maggiormente questa realtà. Nonostante questo, sono felice di trovarmi a Ilembula e di respirare quest’aria, riempiendomi i polmoni di allegria e serenità come da tempo non accadeva. Se poi mi sarò soltanto illuso, sarà comunque un’illusione da cui sarà dolce lasciarsi cullare, almeno fino al momento in cui il velo verrà squarciato e la realtà mi apparirà nelle sue tristi vesti. Il viaggio è solo all’inizio, le acque sono ancora immote e il vento soffia fresco e leggero, mentre in lontananza mi attrae l’ipnotica nenia di affascinanti sirene

mercoledì 7 novembre 2012

Trent’anni per una storia di pace

Nel 2013 saranno Trenta gli anni di fondazione del CO.P.E.-Cooperazione Paesi Emergenti, ONG catanese che opera in Africa e America Latina: trent’anni viaggiando in Tanzania, Guinea Equatoriale, Guinea Bissau, Angola, Tunisia, Madagascar e Perù; trent’anni trascorsi insieme alle popolazioni di questi paesi che vivono da sempre in povertà, senza la sicurezza di uno stato sociale che permetta loro di vivere in condizioni dignitose, senza opportunità di lavoro e di riscatto.
La nostra ONG intende avviare un percorso che ci porterà a riflettere sui progetti realizzati ma anche su tutto ciò che ancora c’è da fare: Trent’anni per una storia di pace, un incontro pubblico aperto a tutti sarà il primo passo di questo percorso!!!

Sabato 10 Novembre, dalle 10 alle 18, presso Palazzo della Cultura a Catania, racconteremo e ripercorreremo insieme a volontari e amici il nostro percorso tra estero e Italia, il nostro impegno nei paesi in cui siamo presenti ma anche la nostra presenza nelle scuole regionali, le collaborazioni con enti locali e associazioni del territorio attraverso foto e video. Inoltre, presenteremo l’anteprima del calendario CO.P.E. 2013 dedicato alla Guinea Bissau e al trentesimo!

La giornata del 10 novembre si inserisce nella cornice di “Sicilia Musica Estate – MED in FEST”, in programma dall’8 all’11 Novembre, a Catania, tra Piazza Bellini, Via Teatro Massimo e il Palazzo Platamone con un programma culturale e musicale ricco di appuntamenti importanti e durante il quale avremo uno stand in via Teatro Massimo per tutta la durata del festival! La manifestazione è dedicata al Mediterraneo ed alle sue peculiarità culturali, siano esse legate all’arte, alla musica ed ai sapori, alle produzioni artigianali ed è organizzata dall’Associazione Culturale Quetic.

Inoltre, DOMENICA 11 NOVEMBRE, dalle 9 alle 14, saremo al Monastero dei Benedettini per la FeraBio di Novembre e presenteremo anche lì il nostro nuovo calendario!
Vi aspettiamo!

Il CO.P.E. inoltre, ha in programma altri appuntamenti per far conoscere le proprie attività e coinvolgere la cittadinanza in tematiche riguardanti lo sviluppo sostenibile, l’integrazione fra culture diverse e il sostegno ai progetti.
 
Per info e contatti: CO.P.E., via Crociferi n. 38, Catania, tel:095-317390;
sito: www.cope.it

lunedì 5 novembre 2012

Compagnia la Giostra

Cari connazionali,

anche quest’anno  l’Ambasciata d’Italia ha deciso di organizzare un evento musicale di beneficienza ed il gruppo prescelto e’  la Compagnia La Giostra,  composto da tre artisti che si occupano di ricerca, recupero e diffusione della musica antica ed etnico-popolare siciliana e mediterranea.

Dopo il concerto saro’ lieto di offrirVi una cena a base di prodotti tipici siciliani che sara’ preparata da un cuoco all’uopo invitato dall’Italia, lo chef Gaetano Billeci, membro dell’Accademia della Cucina siciliana.

I proventi della vendita dei biglietti saranno destinati alla Missione di Ismani (regione di Iringa), gestita da religiosi provenienti dall’Arcidiocesi di Agrigento impegnati in progetti sociali a favore degli anziani e degli orfani, che sono tanti a causa della diffusione in quella zona dell’infezione da HIV.

Dato la finalita’ caritatevole, Vi saro’ grato se vorrete partecipare e diffondere l’invito fra i Vostri amici  e conoscenti.

I biglietti sono immediatamente disponibili presso quest’Ambasciata al prezzo di 80.000 Tsh. e possono essere prenotati telefonando al numero 2117369, oppure al 2123010/11  ext. 110.

Certo che apprezzerete la qualita’ della musica e la bonta’ della cucina, Vi aspetto numerosi  alla mia Residenza  la sera di venerdi’ 23 novembre alle ore  19.30.

I piu’ cordiali saluti,

Pierluigi Velardi

mercoledì 17 ottobre 2012

Il laterizio nella savana


di Ignazio Caruso

le nuove costruzioni in Tanzania tendono a ripetere schemi che vanno consolidandosi col tempo: una costruzione considerata moderna sembra non poter prescindere dall’avere una complessa copertura in lamiera su un unico piano fuori terra, realizzato in mattoni nascosti da un intonaco cementizio. Le case tradizionali erano sempre state realizzate in terra cruda con una copertura in paglia, poi in mattoni crudi eventualmente protetti da un intonaco in terra. Oggi non si può ignorare la diffusa volontà di imitare le tipologie in cemento armato dei paesi industrializzati e, in attesa che il costo del calcestruzzo divenga più accessibile, si preferisce ricrearne l’aspetto nascondendo i laterizi sotto una coltre di cemento.
In un villaggio nella provincia di Njombe si è cercato di invertire la tendenza: Wanging’ombe si trova nella regione di Iringa, a sud-ovest della Tanzania, posto nella savana tagliata dall’unica strada asfaltata che collega la città Mbeya e lo stato del Malawi a Dar es Salaam, la capitale economica situata a circa 1000 km di distanza. I suoi 15 mila abitanti sono dispersi su un’area immensa, senza veri e propri collegamenti stradali, e l’agglomerato più consistente di case è sulla strada carrabile. Poco distante da questa padre Tarcisio Moreschi, un prete italiano da più di trent’anni in Africa, ha immaginato l’inserimento di un centro di riabilitazione post-operatoria per i bambini disabili della regione, molto numerosi e spesso abbandonati – insieme alle loro famiglie – sia dal governo che dalla comunità locale.
Per costituire una prima base per un servizio di riabilitazione, che servisse come luogo d’incontro, è stato progettato un centro di aggregazione dei bambini disabili. Questo edificio non voleva differenziarsi troppo dalle costruzioni più tradizionali del villaggio ospite, né essere un anonimo luogo di cura di bambini “diversi” dagli altri e ignorati da tutti, ma doveva invece mostrarsi come un’architettura di cui la comunità potesse andar fiera.
Le più vecchie abitazioni dei Wabena – la tribù locale – sono in terra cruda e si compongono di due grosse e buie stanze, divise da un corridoio; più recentemente si sono trasformate in case in mattoni, crudi o cotti, e da un tetto a due falde in lamiera sui cui lati si trovano coperture ad un singolo spiovente.
Essendo il centro Bethzatha finanziato anche da soldi italiani, gli abitanti di Wanging’ombe si aspettavano che seguisse le mode degli arricchiti locali – con complicati tetti e cemento armato in quantità – ma vi è stata invece la precisa scelta di rivolgersi a forme più tradizionali e riconoscibili, per poter essere percepiti come una inclusione e, allo stesso tempo, una peculiarità del villaggio.
La popolazione ha contribuito alla sua edificazione, sia attraverso feste e aste per ottenere una parte dei fondi richiesti, sia grazie alla manodopera gratuita che ha creato le migliaia di mattoni necessari. Una volta terminata la Stagione delle Grandi Piogge, verso giugno un gruppo di artigiani ha cominciato a raccogliere il fango di un vicino terreno argilloso e l’ha compresso in stampi divisi in tre scomparti, per ricavarne i mattoni da essiccare al sole; appena maneggiabili, questi sono stati impilati a creare dei forni autoportanti dell’altezza di circa quindici file. Prima di cuocerli si sono sigillati con del fango tutti gli interstizi che all’esterno separavano un mattone da quello adiacente, in modo da impedire il passaggio di aria. Infine grossi tronchi hanno riempito l’imboccatura del forno, anch’essa richiusa, in modo da attuare una combustione lenta e senza fiamma per diversi giorni. Il risultato sono mattoni pieni, spesso di dimensioni leggermente diverse, piuttosto friabili, dei quali una buona parte risulta essere troppo cotta e, molte di più, troppo poco. In questi casi i mattoni anneriti – perché bruciati dalle fiamme – vengono usati sulla parte interna della muratura, in modo da non venire a contatto con gli agenti atmosferici ché in breve tempo li degraderebbero; essendo sconsigliabile un uso esterno anche dei mattoni poco cotti, se non protetti da un intonaco, essi vengono posti – insieme ai molti rotti – come base per la gettata di calcestruzzo che viene a costituire il pavimento.
Si è dunque rinunciato ad un rivestimento completo di intonaco preferendo mostrare le superfici tessute con una disposizione gotica dei laterizi (ancora poco usata a livello locale), che sono stati tra loro legati con una malta formata da due parti di sabbia e di terra e da 1/10 di cemento. Al di sotto di questi muri portanti è stata realizzata una fondazione continua composta da blocchi di una locale pietra granitica, posti sopra un letto di sabbia e legati con una malta bastarda di uguali parti di sabbia e di terra stabilizzata con un 10% di cemento e ancora sormontati da un cordolo in calcestruzzo armato. E data l’umidità portata dalle forti piogge stagionali, si è prestata cura nel rendere impermeabili le murature e la pavimentazione del centro grazie a una soluzione a basso costo: ai già citati mattoni rotti, usati come base per la gettata di calcestruzzo, si è infatti aggiunto un telo impermeabile ricavato dall’unione dei sacchi di cemento vuoti, che localmente sono in polipropilene.
La parte dell’edificio più esposta agli agenti atmosferici è stata intonacata e dipinta di arancione e azzurro per venire incontro al gusto locale, così amante dei colori accesi, e alla destinazione d’uso di un edificio pensato principalmente per i bambini: per loro sono anche stati pitturati interni ed esterni con animali in stile tingatinga, scuola artistica tipica della Tanzania.
E ai bambini è stato dedicato uno dei cinque pilastri che reggono il portico, composto di parallelepipedi cavi normalmente usati per realizzare piccole finestre, qui coricati, traslati, armati e riempiti di calcestruzzo per dare più movimento alla struttura. Se quattro pilastri sono identici, ve n’è uno più piccolo, in disparte, che rappresenta bene la loro condizione di disabili all’interno di una società che – più di altre – fatica ad accettarli: ma a differenza degli altri questo è un pilastro colorato di tonalità diverse, e per loro è certamente il più bello, incessantemente impreziosito dalle impronte con le quali i nuovi bambini ospiti firmano l’appartenenza al loro centro.

venerdì 5 ottobre 2012

Mama Africa Circus


foto di Irene Aprile


A partire da Venerdì 28 Settembre fino a Domenica 4 Novembre 2012 al Mancom Centre, New World Cinema, Mwenge.
Una festa spettacolare e ricca di sorprese, articolata in 18 atti fra show di canto, danza (tradizionale e contemporanea), giocoleria, contorsionismo, equilibrismi, evoluzioni aeree, piramidi umane e molto altro ancora.
Il circo Mama Africa è un grande evento del panorama artistico tanzaniano, sostiene e celebra l'arte in questo paese. Gli organizzatori sono fiduciosi che possa incoraggiare altri membri della comunità a promuovere, sempre più, forme di cultura.
Creata nel 2003 come scuola  acrobatica, dal produttore e regista Winston Ruddle, Mama Africa Circo si è trasformata in una notevole piattaforma per la presentazione dell'innato talento acrobatico africano. Ha prodotto più di 150 acrobati e ballerini provenienti da Tanzania e altri paesi africani che sono andati ad esibirsi in tantissimi spettacoli in tutto il mondo
Prezzi dei biglietti: 30.000Tsh per la prima fila e 20.000tsh per le altre. 

Esibizioni:
da Mercoledì a Domenica alle ore  8:00 pm;
da Venerdì a Domenica anche alle ore 3.00 pm;

Prenotazioni: +255 75 9586798,   +255 787517292,  +255 778385238

bookings@mancom.co.tz
www.mancom.co.tz


 

giovedì 4 ottobre 2012

Mal d'Italia

di Matilde Ner
Qui non piove da mesi. All’oro delle colline bruciate dal sole si contrappone il verde smeraldo dei campi di tè e il mio obiettivo dell’anno è chiarissimo. Voglio trovare un tanzaniano a cui non piaccia l’attore StevenKanumba, la cui tragica prematura comparsa ha completato la divinizzazione in corso. Steven Kanumba recita male ma gli attori accanto a lui peggio. Rappresenta il sogno, l’arrivare e l’avere, la meta e una brutta copia dell’Occidente. Soldi, successo, donne e macchine insomma, la felicità. E piace a tutti, donne e bambini, vecchi e giovani, a prescindere dall’educazione e dal ceto. Nell’attesa di raggiungere la mia ambiziosa meta scopro piccoli segreti africani. Tutte le vacche del mondo sono dei Masai, questo loro pensano. Lengai, il loro Dio, disse così e ogni mucca altrui è furto. Ho scoperto poi che qualsiasi foglia verde se non velenosa può essere soffritta con cipolle e pomodori e diventare un contorno, che in tutta la Tanzania, quando un uomo sposa una donna deve pagare alla famigliala sposa (a Nyololo ora i prezzi si aggirano sui 300 euro per moglie), che un‘importante multinazionale svizzera possiede il monopolio del costoso latte in polvere in tutta Africa e che infine qui il seno è solo organo di nutrimento non ha il significato erotico che ha in Occidente. Si allatta sempre e ovunque. I contadini qui, come forse tutti i contadini del mondo, sanno tutto e niente. Molte nozioni per la metà scientifiche per la metà contadine, quel misto di pregiudizi gretti e antica saggezza. Ho visto una donna portare in testa in un secchio 4 zampe di mucca davendere (2 euro a zampa!). Un altro segreto: la luce della luna piena, sovrana indiscussa delcielo, ci regala la nostra ombra anche se notte se le nuvole sono scappate. Fuori dalle banche di Tanzania ci sono le guardie giurate e hanno fucili talmente vecchi che sembrano baionette della rivoluzione francese. Un altro: il fatto che le bottiglie di Coca-Cola, le ricariche del telefono, le bandiere verdi del partito arrivano ovunque anche nei villaggi remoti senza elettricità né acqua è la prova che tutto in questo mondo può arrivare ovunque. Quindi anche farmaci, libri, pensieri.Ogni 20 del mese c’è un mercato in villaggio e si vendono oggetti di seconda mano, cibarie, scarpe e scarpette, stoffe, uniformi scolastiche, pentolame, quaderni, penne. E così arrivarono i colbacchi a Nyololo. Vita in swahili vuol dire guerra. E ci sono parole uniche in questa lingua che in italiano possono essere solo tradotte con frasi. Per esempio intrecciare il tetto di una capanna, strappare la carne dall’osso, il buco lasciato da un dente mancante. Un altro segreto irrisolto. Non capisco come le persone non abbiano schifo a stare così vicine da toccarsi in dala dala, tutti accettano l’altro e i suoi odori. Nei dala dala, dopo numerosi studi svolti, non c’è alcuna strategia per un viaggio decente. Troppi parametri imprevedibili in gioco. Tra cui: casse della musica, sedile extra del corridoio in cui devono stare 2 o 3 persone e mai 1, posizione ruota di scorta, presenza non uniforme dei sacchi di patate sul fondo, destinazione di quelli accanto a te, bambini nelle vicinanze, contadino con gallo, uomo che sa di carbone, donna robusta o meglio matrona con acquisti voluminosi, finestrino rotto per cui ci sarà troppa polvere o farà troppo caldo. Forse conviene affidarsi al caso che sceglierà per te. In dala dala ho conosciuto un’attivista contro la corruzione, un altro contadino arrabbiato e una commerciante di biancheria intima che dopo avermi rivelato la sua sieropositività mi ha regalato una shanga. Una shanga è un filo di perline colorate da mettere alla vita, la parte più preziosa e proibita del corpo di donna. E’ una confidenza, un’intimità, un segreto tra donne, e solo una donna può regalarla ad un’altra come augurio di una buona sessualità. Nessuno uomo se non il proprio amante può vedere la shanga di una donna. E così lei con fare malizioso e complice me la mise in borsa attenta che nessun uomo ci stesse vedendo. Se mi esce dalla gonna e cammino in strada, perfino un estraneo mi invita a nasconderla dove è giusto stia. E’ pudore. E infine capita che prima dei tre anni di vita i bambini non ricevano un nome: è così precaria la vita che non conviene crederci. Il mio collega Jacob si sposa il 2 gennaio, vuole essere il primo uomo non poligamo della sua famiglia. Sarà un marito premuroso, forse il primo della sua stirpe. Si soffre con grande dignità quasi in silenzio che tu sia un bambino da circoncidere a cui l’anestesia non ha fatto effetto o una donna incinta con un travaglio che è un’agonia. I bimbi sono le creature di tutti, chiunque in dala dala prenderà in braccio per tutta la durata del viaggio il bambino di chissà chi. A volte sono stordita nel vedere come pura bellezza e mostruosità possano convivere senza calpestarsi ma forse è anche questo lo stupore del mondo. Un ultimo segreto, veramente. Non esiste solo il mal d’Africa ma anche il mal d’Italia così imperfetta nella sua meraviglia. Tutto ciò che mi manca della mia terra però è gratis. E così a volte, la sera, annuso l’origano e la sua struggente fragranza mediterranea.

martedì 2 ottobre 2012

Danze Acrobazie Musica a Bagamoyo

E' appena terminato il 31° Festival delle Arti e Culture di Bagamoyo (23-29 Settembre),  per gli appassionati c'è un ulteriore evento da non perdere: il 6 Ottobre alle ore 17, sempre all'auditorium di Bagamoyo, avrà luogo lo spettacolo Umoja organizzato da Cultural Flying Carpet (www.umojacfc.com/).

Parteciperanno gruppi folkloristici da Tanzania, Uganda, Kenya, Etiopia e Norvegia.

L'evento è GRATUITO!


       Festival di Bagamoyo, 29 Settembre  (foto Francesco Cosentini)

martedì 18 settembre 2012

Expo 2015: aderisce anche la Tanzania

da Ansa.it
La Tanzania aderisce all'Expo ed è il novantasettesimo ingresso, l'annuncia il Commissario Generale dell'Expo Milano 2015, Roberto Formigoni, che ha dichiarato: ''Nel dare il benvenuto alla Tanzania, registro ancora una volta il vivo desiderio del continente africano di essere protagonista nel mondo dell'Esposizione Universale italiana''. ''Meta' dell'Africa, ormai - ha aggiunto - e' gia' con noi e questo e' un dato che va giudicato come assolutamente significativo''.

sito ufficiale: www.expo2015.org

giovedì 13 settembre 2012

Cena e concerto solidale


CARI AMICI
VENERDI' 21 SETTEMBRE SIETE TUTTI INVITATI ALL'AZIENDA AGRITURISTICA "LA MERLETTA"PER UNA CENA E UN CONCERTO SOLIDALE PER LA RACCOLTA FONDI PER LA COSTRUZIONE DELLA NUOVA CASA ACCOGLIENZA PER I BAMBINI DEL KISEDET

http://www.kisedet.org
KISEDET KIGWE SOCIAL ECONOMIC DEVELOPMENT AND TRAINING


Si tratta di una cena della tradizione
un menù conviviale, semplice ma saporito
taglieri misti di formaggi e salumi, insalata mista, verdure in agrodolce sott’olio, polenta e grigliata di carne
… acqua, vino, dolce, caffè e amaro compresi … !!!
al prezzo “solidale” di 20€  a persona.
.... inoltre il divertimento è assicurato con il concerto live e gratuito dei "GOOD VIBRATIONS"
gruppo che attinge dalle radici del rock, blues e folk con un repertorio di classici e con incursioni anche nella canzone d'autore italiana ma non mancherà qualche sorpresa
.... a seguire musica revival 70-80-90 con DJ MAX!!!!!
Purtroppo i posti sono limitati e serve obbligatoriamente la prenotazione
(rispondete direttamente a questa e-mail o telefonate a Ilario 335-8007631)
Il ricavato della cena e delle donazioni verrà totalmente devoluto alla
Vi aspettiamo alle 20 presso l’azienda agrituristica
LA MERLETTA INAWAKAN
  che generosamente ci ospita
per info www.lamerlettainawakan.it - Via della Merletta, 6/8 Almè -BG-


Per qualsiasi informazione:
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domenica 2 settembre 2012

Viaggio in Tanzania

di Simona Di Michele


 


All’aeroporto del Cairo il tempo a disposizione per immaginare come sarà la Tanzania è veramente molto. Ritorni con la mente ai resoconti di viaggio di chi in Africa c’è stato innumerevoli volte, e avanzi delle ipotesi su quello che potrà capitarti di vivere, memore dei racconti che ti ha confidato chi ha lavorato per anni in un villaggio sperduto tra le montagne del sud, a diretto contatto con le difficoltà e le sofferenze di un popolo millenario.

Come ci si prepara ad affrontare un viaggio nella terra considerata la culla della civiltà? Quante, delle proprie convinzioni, è bene lasciare a casa, e quanto di se stessi si è disposti a mettere in gioco nel corso di un’esperienza simile? Sulla scia di queste riflessioni, arriva l’annuncio dell’apertura del gate per l’imbarco. Destinazione Dar es Salaam, il cuore della “terra delle foreste e delle savane”, l’antica Tanganica.




L’ombelico del mondo. Dar si rivela da subito una metropoli fagocitante, in frenetico movimento fin dalle 7 del mattino. La valanga di macchine e di bajaji, le rumorose apette che smarcano veloci qualsiasi cosa gli si pari di fronte, sfreccia senza sosta, un movimento paragonabile solo alla fiumana di persone che, sul ciglio della strada priva di marciapiedi, cammina a passo cadenzato, con aria indifferente. La città è un tripudio di cartelloni che pubblicizzano prodotti occidentali, i lunghi tentacoli delle multinazionali la fanno da padrone nella vendita di bibite gassate e nei servizi di telefonia mobile, senza contare gli oscuri cantieri che campeggiano ai lati dei piccoli banchi di frutta o delle botteghe improvvisate dove si vendono prodotti artigianali. Una sconfitta soprattutto per i seguaci politici del primo partito del paese, quello socialista di Nyerere, il presidente grazie al quale la Tanzania si è resa indipendente negli anni sessanta. Oggi, quei cantieri per lo più cinesi e indiani, i maggiori costruttori della zona, fanno da macabro sfondo ai tanti venditori ambulanti tanzaniani intenti a chiedere l’elemosina ai semafori rossi.
Non ci vorrà molto, nel corso del viaggio, per abituarsi all’invito incessante degli uomini e dei ragazzi che si offrono come tassisti o guide turistiche, all’aeroporto come alla stazione dei pullman e dei dala-dala (i piccoli autobus della città), e al porto, da dove partono i traghetti per Zanzibar. Avere un tassista in città, del resto, non è affatto un lusso. Il nostro punto di riferimento in questo senso è Aji, un ragazzo di circa trent’anni, dal sorriso timido e una lieve balbuzie.
I segni della città, Aji li porta tutti sul volto: tre anni fa, quando ancora faceva il tassista nelle ore notturne, ha caricato in macchina dei presunti clienti che lo hanno minacciato per portarlo in un posto isolato. Lì, dopo averlo picchiato e sfregiato con un machete, lo hanno derubato lasciandolo solo e lontano dal centro. Da allora Aji non lavora più di notte, e quando gli chiediamo qual è la tariffa per la corsa in taxi, ci guarda sorridente e dimesso: “Quanto volete”, dice in swahili. Lo incontreremo ancora durante la nostra permanenza, intanto è con il suo caloroso “Karibu Tanzania!” che riceviamo il nostro primo benvenuto.
Il pipistrello di Zanzibar. Il centro dell’isola, Stone Town, assomiglia ad una casba, per quell’intrigo di viuzze strette, con il Jaws Corner dove gli uomini si ritrovano dopo il lavoro per giocare a dama, bere e fumare assieme. Il richiamo alla preghiera del muezzin aleggia nell’aria, ed è la dolce melodia che ci fa risvegliare alle 5 del mattino sotto la zanzariera del nostro letto alla guest house dove alloggiamo. Un acquazzone improvviso, nel corso della giornata, rende le strade un manto d’acqua sudicia, ma gli abitanti non ci fanno caso, proseguono per la strada in sella alle loro biciclette o intenti a trascinare a mani nude pesanti carri ricolmi di roba.
Ali Jouss è uno zanzibarino dall’aria vissuta, ci nota dall’angolo della strada, ci parla in un buon italiano, e decide di sua iniziativa che sarebbe stata la nostra guida in città. Camminare al suo passo è praticamente impossibile. La sua falcata, apparentemente lenta, è lunga ed implacabile, e a guardarlo muoversi a quell’andatura si ha davvero l’impressione che il concetto stesso di tempo, da queste parti, abbia tutto un altro ritmo. Ali Jouss ci scorta verso l’antico mercato degli schiavi, oggi sovrastato da una chiesa anglicana, e la sua voce diventa più appassionata quando ci mostra il monumento in ricordo della schiavitù, dove sono ancora presenti le pesanti catene che stringevano collo, polsi e caviglie di migliaia di uomini e donne. Una vena di orgoglio trapela anche quando ci fa da cicerone nella residenza del sultano, e ci ricorda la storia della rivoluzione di Zanzibar, grazie alla quale è stato rovesciato il sultanato. Quando gli chiediamo della sua di storia, Ali assume un’aria più malinconica. Di fronte ad una birra, e continuando ad accendere e spegnere sigarette, ci confida che lui e il suo popolo sono arrabbiati per via della situazione politica tra Zanzibar e la Tanzania, soprattutto perché la fusione impedisce all’isola di essere totalmente indipendente. Ali, penultimo di sei fratelli, non vede prospettive rosee per il suo futuro. Vorrebbe tornare a Dar per proseguire gli studi, ma deve accudire la madre malata, e ogni progetto più lungimirante sembra spegnersi sul suo volto scavato. “Sono come un pipistrello”, conclude “Non sono né un uccello né un animale”.

Verde, azzurro e giallo. Sono i colori della bandiera della Tanzania a fornire la sintesi perfetta di tutto ciò che la natura di questo paese sa regalare. Il verde, simbolo della vegetazione, è la natura rigogliosa e gigantesca che, nella stagione delle piogge, avvolge città, villaggi di costa e paesi sperduti nell’interno del paese. Dalle piantagioni di spezie a Zanzibar, alle altissime palme da cocco sulle spiagge e tra le rovine del sultano all’isola di Kilwa, fino alle piccole foreste disseminate per il Ruaha Park durante il safari, la natura africana è esattamente come la si immagina, imponente e placida, radicata fin dentro le viscere della terra e slanciata a perdifiato dentro l’azzurro. Azzurro, appunto, il secondo colore della bandiera, quello del cielo e dell’oceano, i due elementi più stupefacenti perché letteralmente privi di confini. E su tutti, il giallo, la luce del sole che colora di mille sfumature le grandi distese delle coltivazioni di grano, le risaie, le città. Dall’alba al tramonto, la natura offre uno spettacolo unico, accompagnato dal silenzio stupito e incredulo di chi ha la fortuna di osservarlo.


Verso l’interno. Per raggiungere Nyololo, un piccolo villaggio del sud a un’ora di distanza dalla città di Iringa, sono necessarie nove ore di pullman da Dar. Durante il viaggio ci sono poche e brevissime soste, l’autista avverte sempre troppo presto con una sonora suonata di clacson che il mezzo sta per ripartire. La folle velocità in cui si viaggia diminuisce di poco solo nei punti più critici, dove le buche e la fanga della strada rischiano di bloccare le ruote. In compenso, lo scenario che si vede dal finestrino è un diversivo notevole. La bellezza dei paesaggi in Tanzania si nasconde anche nella loro diversità, il passaggio dai villaggi di costa a quelli sulle Urungu Mountains ha dell’incredibile. Si passa dalle distese di palme da cocco, dalle grandi spianate di terra verso il mare ai pericolosi tornanti di montagna e alle vallate dove si susseguono case di fango e paglia, chiuse tra le vette e le piantagioni di girasole.
Iringa è una cittadina più modesta di Dar, e se nella metropoli la gente guarda i “mzungu”, i bianchi, con curiosità e una buona dose di opportunismo, a Iringa vige di più uno stato di sottile diffidenza. Il villaggio di Nyololo accoglie le strutture della Ong catanese Cope (Cooperazione Paesi Emergenti), con la quale viaggiamo. I progetti dell’organizzazione riguardano un ospedale, la shamba (la fattoria) e un centro per bambini orfani. Nella nostra breve permanenza qui, a conclusione del viaggio, abbiamo modo di toccare con mano, abbracciandoli e coccolandoli, il bisogno di amore autentico di tanti bambini che vengono accolti in queste strutture. Per lo più orfani di madre, alcuni sieropositivi dalla nascita, è con i loro occhi nei nostri che facciamo ritorno in Italia. Portando con noi il ricordo di un viaggio verso l’interno, in tutti i sensi.


(Le foto sono dell’autrice; per informazioni e approfondimenti: www.cope.it)

sabato 1 settembre 2012

Bagamoyo Festival of Arts and Culture 2012

Welcome to Bagamoyo and a week of exitement and African culture.  TaSUBa (Institute for Art and Culture Bagamoyo) host this festival of traditional dance and music, perfomances, acrobatics, exhibitions, workshops and much more, this year it will take place in September from 24 to 29!
     
The first venue of the festival was the shade of a mango tree. Today the festival is staged at the new TaSUBa Theatre, a 2000-seat amphitheatre with modern sound and lighting facilities - the largest venue for performing arts in all of East Africa.   
The festival dates back to the early days of the Bagamoyo College of Arts, the institute now known as TaSUBa.  The festival was initially established to display the works of the students and teachers at the college. Since the start in 1982, the festival has grown to an annual 6-day event with performances of many different styles from many different countries.
The Bagamoyo Festival of Arts and Culture focuses mainly on Tanzanian and East African music, dance and theatre. Both traditional and contemporary performances are on display, roots and fusion hand in hand. Music include ngoma, afro jazz, bongo flava, reggae, African fusion and taarab.



Maggiori informazioni sul sito ufficiale:
http://bagamoyofestival.weebly.com/index.html 

martedì 28 agosto 2012

Mambo Sivyo Ndivyo

presento con piacere la nuova canzone dell'artista, e caro amico, Junior Gringo:


http://www.youtube.com/watch?v=mDhkHkNosBw


Su Junior vedere anche il post del 26 Luglio.




JUNIOR PASCAL GRINGO

activist singer, Afro Pop Folk



mobile: +255-0718279507

fb: pascal junior

youtube: juniorgringo85

myspace: junior mtombo

martedì 21 agosto 2012

Petizione per sostenere i Masai

Cari amici,
 
Da un momento all'altro un'importante multinazionale della caccia 
sportiva potrebbe siglare un accordo che porterebbe allo sgombero di 
fino a 48 mila membri della famosa tribù africana dei Masai dalla loro 
terra per fare posto a danarosi re e principi del Medio Oriente a 
caccia di leoni e leopardi. Gli esperti dicono che il via libera 
all'accordo da parte del Presidente della Tanzania potrebbe essere 
imminente, ma se agiamo ora possiamo fermare la svendita del 
Serengeti. 
 
L'ultima volta che la stessa multinazionale ha costretto i Masai a 
lasciare le loro terre per fare spazio a ricchi cacciatori, uomini e 
donne sono stati picchiati dalla polizia, le loro case sono state date 
alle fiamme e il loro bestiame è morto di fame. Ma non appena la stampa 
ha cominciato a parlarne in modo critico, il Presidente della Tanzania 
Kikwete ha cambiato posizione e ha fatto tornare i Masai nella loro 
terra. Questa volta non c'è stata ancora una grande copertura da parte 
della stampa, ma possiamo sbloccare la situazione e forzare Kikwete a 
bloccare l'accordo se da subito mettiamo assieme le nostre voci. 
 
Se 150 mila di noi firmeranno, i media in Tanzania e in giro per il 
mondo inizieranno a parlarne e così il Presidente Kikwete riceverà il 
messaggio e dovrà ripensare a questo accordo mortale. Firma la 
petizione ora e mandala a tutti: 
 
http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?bytqKab&v=17062
 
I Masai sono gruppi semi-nomadi che hanno vissuto in Tanzania e in 
Kenya per secoli, giocando un ruolo fondamentale nel preservare il 
delicato ecosistema. Ma dal punto di vista delle famiglie reali degli 
Emirati Arabi Uniti, sono ostacoli per i loro lussuriosi party di 
caccia. Un accordo per sfrattare i Masai per fare posto a ricchi 
cacciatori stranieri è un male tanto per la fauna protetta quanto per 
le comunità che verrebbero spazzate via. Mentre il Presidente Kikwete 
si sta rivolgendo alle elite locali a lui più vicine per convincerle 
dell'utilità dell'accordo per lo sviluppo, la maggior parte delle 
persone vorrebbe solo mantenere la terra che sanno il Presidente 
potrebbe confiscare per decreto.
 
Il Presidente Kikwete sa che questo accordo sarebbe contestato dai 
turisti della Tanzania, una fonte fondamentale di entrate per il paese, 
e perciò sta cercando di tenere questa operazione lontana dal dibattito 
pubblico. Nel 2009 un simile esproprio di territorio in quest'area 
effettuato dalla stessa multinazionale che ci sta provando anche questa 
volta ha generato una copertura mediatica globale che ha contribuito a 
convincere Kikwete a fare marcia indietro. Se riusciamo a generare lo 
stesso livello di attenzione sappiamo che la pressione può 
funzionare. 
 
Una petizione firmata da migliaia di persone può fare in modo che 
tutti i maggiori media globali presenti nell'Africa dell'Est e in 
Tanzania permettano spazzino via questo accordo controverso. Firma ora 
per chiedere a Kikwete di stracciare l'accordo: 
 
http://www.avaaz.org/it/save_the_maasai/?bytqKab&v=17062
 
Alcuni rappresentanti della comunità Masai proprio oggi si sono 
appellati urgentemente ad Avaaz per dare forza ad un appello globale 
per salvare la loro terra. Innumerevoli volte l'incredibile risposta di 
questa fantastica comunità ha fatto diventare cause apparentemente 
perse in partenza in risultati di enorme valore. Proteggiamo i Masai e 
salviamo gli animali per quei turisti che li vogliono catturare con le 
loro macchine fotografiche, invece che con le loro armi letali! 
 
Con speranza e determinazione, 
 
Sam, Meredith, Luis, Aldine, Diego, Ricken e il resto del team di 
Avaaz 
 
 
Per ulteriori informazioni: 
 
Le multinazionali del turismo scacciano i masai (Società delle 
Missioni Africane)
http://www.missioni-africane.
org/689__Le_multinazionali_del_turismo_scacciano_i_masai 
 
Masai sfrattati e arrestati per far spazio ai safari di caccia 
(Survival)
http://www.survival.it/notizie/4903 

mercoledì 25 luglio 2012

Barua pepe .... lettera del vento!

di Matilde Ner

Sono a Nyololo nella regione di Iringa! Ho trascorso le prime tre settimane a Dar Es Salaam per il corso di Swahili che svelò già qualcosa della cultura locale. Per esempio, non esiste il verso “avere” quindi tradotto da “essere con”; l’uomo si sposa, la donna è sposata; data in passato la mancanza di orologi la prima ora corrispondeva alle sette del mattino, le cinque tanzaniane erano le 11 italiane,  e tutt’ora vige questa specie di fuso orario (di sei ore) rispetto all’orario interpretato in Occidente!  La mail è barua pepe, lettera del vento, il peperoncino pilipili e il peperone pilipilihoho. Le importazioni dall’inglese creano ortografie bizzarre come: machi (March), baisikeli (bicycle), elektrisiti, Februari, redio e così via.. 
I tuoi coetanei li chiami dada o kaka, sorelle o fratelli e i più anziani mama o baba o addirittura bibi o babu.
Dar si mostrò una città meno affollata e caotica di quanto pensassi e poi c’è il mare. Le prime tre settimane furono una macedonia di caldo afoso e a volte insopportabile, i primi mercati, black out continui, spesso poca acqua fangosa con cui lavarsi, pesce alla griglia in spiaggia, spiedini di carne, tanti manghi e un sacco di blatte in camera, da cui il soprannome di Blatteville. Mi accorsi subito che qui ogni bene qui è precario: non potevo programmare una conversazione in skype, una doccia e perfino di ricaricare un cellulare. Mi colpirono anche i Masai, con le loro stoffe e pettinature solenni, a volte nei centri commerciali con rayban, cellulari e una Coca Cola in mano. Modernità e tradizione fuse insieme.
Poi una domenica abbiamo lasciato la metropoli, visto la terra diventare rossa e colline verdi coprirsi di sassi giganti, attraversato la Valle dei Baobab e parchi da cui spuntavano giraffe, elefanti e zebre e diretti verso il centro della Tanzania siamo arrivati a Nyololo. Nyololo ha in realtà due anime.
Nyololo Njiapanda sono le baracche su una delle autostrade principali di Africa dove prostitute e camionisti si scambiano l’HIV, spesso ubriachi. E’ un posto di transito per molte merci, anche armi dicunt. Sembra un territorio di nessuno, l’abbruttimento si respira nell’aria.
Nyololo Shuleni sono invece le capanne di fango (e a volte mattoni) tra il verde esotico e non. Pini e acacie, baobab e girasoli.
Iniziarono poi le storie, le fiabe e i disastri di questa terra, angolo però felice di un Africa senza guerra né carestia grazie anche e ancora all’eco delle politiche di Julius Nyerere. Quindi ci raccontarono che il boss locale, che ho conosciuto proprio stamani in ospedale e riconosciuto grazie al suo gessato improbabile, bruciò un uomo dopo averlo avvolto nei copertoni per un regolamento di conti, che una bambina disabile venne abbandonata anzi fatta crescere in un pollaio e ora si comporta come un pollo, che la giustizia del villaggio è tanto frequente quanto assente quella dello Stato (trattamenti speciali li hanno soprattutto i ladri), che picchiare la moglie è normale, ubriacarsi pure e avere l’HIV anche. Sembra che non solo il tempo, la ricchezza, la felicità, il sesso, il lavoro abbiano un altro significato ma anche la vita stessa. A volte i pazienti non hanno cura di sé e si muore per cazzate trascurate dandoci un senso di impotenza enorme e facendoci riempire di domande sul senso di essere qui. Al Centro di Cura e Trattamento per i pazienti con l’HIV mi occupo sia del coordinamento che di alcune scelte sanitarie da fare sempre rispettando i protocolli e le linee guida governative.
I farmaci sono gratis, il dottore che visita anche, i test e la conta dei linfociti idem, la sensibilizzazione e il counseling pure. E’un centro da migliorare ma che funziona però quando ci sono i bambini, a volte, è troppo. La percezione di fare un buon lavoro quasi si vanifica. Infatti dopo pochi giorni dal mio arrivo ebbi il mio “battesimo di dolore”. Un bambino, purtroppo come molti, mezzo cieco venne da solo a prendersi la terapia facendosi a piedi un sacco di strada con la sua camminata zoppa e la sua mezza paralisi. Non è accettabile conoscere già il destino di un bambino del genere che invece dovrebbe essere pura potenzialità. Mi fece male la carne del cuore. L’HIV dopo anni di meditato silenzio si presenta arrogante e desiderosa di umiliare il corpo. Molti pazienti che seguono la terapia però stanno proprio bene, prove viventi che questa malattia non si cura ma si può trattare se uno si vuole bene. I farmaci qui a disposizione sono antichi ma allungano e migliorano incredibilmente la qualità di vita, oltre ad abbassare il rischio di nuove infezioni.
Ci sono persone in gamba che danno senso al nostro lavoro. C’è Fidelis che come tutti i wahehe ha ai lati degli occhi il segno dei semi incandescenti che gli posero quando era bambino per renderlo un uomo coraggioso. Anni fa ammise pubblicamente di essere sieropositivo andando contro lo stigma, l’ignoranza e i pregiudizi e faceva ogni mese 40 km a piedi per andare a prendere i farmaci in un’altra città. Insomma un rivoluzionario. Sono orgogliosa di lavorare con lui. Poi in dala dala , autobus locale sovraffollato il cui fondo di solito è coperto da uno strato di patate, conobbi un agricoltore che definì l’HIV come “la malattia dell’ignoranza” e mi chiese la ricetta di un piatto italiano da fare con la moglie e gli scrissi sul biglietto del viaggio la ricetta per la pasta alla norma. Sempre su un dala dala mi misero in uno spazio inesistente tra due sedili e un bambino prese sulle ginocchia istintivamente tutti i miei sacchetti per farmi spazio e poi ascoltammo per tutta la durata del viaggio le canzoni dal mio ascoltamusica con la sua curiosa timidezza. Durante un passaggio in piki piki il conducente mi chiese che lavoro poteva fare una volta in Italia. Dopo alcune mie spiegazioni mi chiese perché la realtà dell’Europa è così diversa dall’immagine che appare non essendo noi tutti, ricchi, belli e perfettamente felici. Kenneth, artista sieropositivo, ha fondato una compagnia teatrale, costruisce limousine fondendo due macchine e ha costruito una macchina di legno che funziona. Non so come. Le donne hanno acconciature stranissime (treccine, extension, parrucche) e vestiti coloratissimi in cui nascondono tra i colori i loro pargoli bragati al dorso. Alcune perfino allattano camminando. Molte sorridono spesso. Ma soprattutto anche di fronte al dolore non si lamentano mai. Davanti a questa jungla di umanità, per conciliare tutta questa molteplicità di emozioni non voglio vedere né eroi né criminali ma le persone. L’uomo.
Oltre alla sua presenza, qui è invadente e ammaliante quella della natura.
Non conosco terre in cui pezzi di cielo si tingono di viola, di strisce colorate perfettamente parallele e terre sulle quali si può camminare a mezzanotte al chiaro di luna quasi come fosse giorno. Ci sono baobab antichi, aloe alte come me, radici di alberi che spuntano dopo metri dal tronco e camaleonti per le strade. Ho visto dall’interno di una casa il vetro esterno di una finestra totalmente ricoperto da un alveare. Non si vedeva il giorno o la notte da quanto il labirinto di esagoni perfetti e corpicini brulicanti era fitto. A volte verso l’imbrunire cammino in villaggio ed è un presepe. Bambini con in braccio bambini ancora più piccoli, donne con lunghi rami sulla testa, ragazzine con bacinelle di alluminio piene di acqua, uomini nei campi coi macheti, scolaretti in uniforme, piccoli pastori e grandi mandrie.
Poi arriva il buio, gli altri sensi si acuizzano, si accendono lampade a petrolio dalla luce arancione tra il cielo blu, gli alberi neri, la via Lattea e il fruscio del vento sulle foglie delle pannocchie che sembra la musica di un fiume.
Sono piena di domande. Una mi perseguita. I diritti civili, la cosa più preziosa che mi porto della mia cultura, potrebbero essere un prodotto squisitamente europeo e applicabile solo in Europa frutto di polis greca, umanesimo, illuminismo, ect. Insomma cose nostre.
Perché pensare che tutte le società debbano averli per forza se non appartengono ad un loro percorso?
Alcune società potrebbero basarsi su sistemi differenti tra cui la prepotenza del più forte, le disuguaglianze di genere, l’assenza di uno Stato e violazioni dei diritti umani, magari perfettamente accettabili. A ognuno la sua storia.
Ma tutti i sistemi, tanto i gas quanto i popoli, tendono all’entropia e a mescolarsi, quindi è inevitabile essere qui ora e contaminare e essere contaminati. Ed è anche inevitabile farsi queste domande.
Da questo continente disgraziato ma magico stringo tutti.

lunedì 23 luglio 2012

Chicco di caffè in acqua bollente

di Francesco Cosentini

Dalla fuga alle luci del palcoscenico
La storia di Pascal Junior Mtombo sfuggito all'eruzione del vulcano Nyiragongo (Goma , Rep. Democratica del Congo) nel 2002 ed approdato a Dar es salaam, in Tanzania, diventando leader di una band di successo. Il sogno della famiglia era farlo lavorare in ufficio, il suo quello di cantare: fin dall'età di 12 anni.


E' una calda e tranquilla mattina quando giunge la notizia della terribile eruzione vulcanica, c'è appena il tempo per fare un fagotto con l'essenziale ed organizzare la fuga.
Scappano tutti: è il caos. Non importa se sei ricco o sei povero, la lava non risparmia nessuno, le automobili sono inutilizzabili poiché l'unica strada è stata distrutta. Tutti scappano con l’obiettivo comune di salvarsi. Junior è soltanto un ragazzo, orfano di madre, come tanti dalle sue parti. L'incoscienza dell'età lo spinge a sfidare la lava, attende il suo arrivo con alcuni amici e gioca a lanciarvi dentro i sassi per osservare cosa  succede. Non immagina, mentre prosegue il suo cammino, che quella stessa lava dopo averlo allontanato dalla sua casa e dal suo villaggio, sarà il primo passo del cammino che lo condurrà alla realizzazione del suo sogno: diventare un cantante professionista!  Quando oggi gli domando se abbia mai pensato alla questione in questi termini, sorride dicendo di non credere che sia cosi. Mi spiega: "E’ stato determinante soprattutto il periodo della guerra: la quotidianità era dura".
E sottolinea: "La vita dopo l'eruzione è tornata alla normalità in pochi mesi, mentre i problemi erano appunto la situazione instabile e disordinata a causa del conflitto."


L’esodo
Nel corso della nostra conoscenza scoprirò le sue armi vincenti: impegno, passione e determinazione.
Oggi Junior ha 26 anni, presentato da un amico comune mi ha gentilmente offerto ospitalità nella sua casetta di Dar es salaam. Ha aperto le porte del suo mondo, ci siamo fatti lunghe chiacchierate e risate, discorso a 360°: dalla politica alle ragazze, dalla musica all'esperienze di vita vissuta. E' nata da subito un'intesa, una condivisione del presente e del reciproco passato, di sogni, ambizioni e speranze per il futuro.
Junior, rievoca, apparentemente senza eccessiva tristezza, il dramma dell'eruzione e mi racconta alcune vicende come quella di molti anziani che, ritenendo di essere al sicuro dopo l'eruzione, non hanno abbandonato le proprie case. Mi piace pensare che in cuor loro conoscessero il destino che li attendeva e abbiano preferito morire nella loro terra. 
Dopo alcune ore di viaggio –continua Junior- arriva al confine con il Rwanda insieme a migliaia di altri profughi, dei bus li scortano fino ad un campo allestito per l'occasione nella cittadina di Mudende. Il campo è organizzato nella sede dell'università in disuso, distrutta durante il genocidio del 1994. Viene accolto con cortesia e gentilezza dai fratelli ruandesi, continua a sorridere ricordando di aver ricevuto biscotti dagli addetti del campo profughi. L'area è molto grande, i tetti dell'università sono distrutti, non ci sono materassi né porte e finestre, i servizi igienici inesistenti, l'atmosfera comprensibilmente tesa e triste, Junior non si perde d'animo e trova perfino la forza di cantare. Trascorre lì tre mesi, la più grande risorsa sono i profughi stessi: si crea una grande famiglia, ci si aiuta a vicenda e si stringono amicizie.


Finita l'emergenza torna al villaggio e decide quasi immediatamente di raggiungere il Burundi, vuole concentrare le energie per focalizzare il suo obiettivo. Non può contare sull'aiuto del padre con il quale non ha rapporti da tempo, la famiglia è troppo povera per poter pensare a lui. Racimola a fatica l'indispensabile per affrontare il viaggio. 
Parte per Bujumbura dove conta sull'aiuto di un amico che gli aveva promesso vitto e alloggio, ma al suo arrivo alla stazione non c'è nessuno ad attenderlo. Non ha soldi, non conosce la città, si aggrappa a Didier, un ragazzo burundese conosciuto lo stesso giorno sul bus. Didier capisce la situazione, non rimane indifferente e lo invita a casa sua. Un giorno camminano per strada si sente chiamare, ritrova un amico che aveva completamente perso di vista da anni, in quel momento ha pensato: "E’ un angelo" . Richard, il suo amico d’infanzia si trova lì in vacanza per la chiusura estiva della scuola ed è venuto a trovare la famiglia. Presenta Junior ad altri amici presso i quali soggiorna e questi lo accolgono nella loro casa.
Il commento di Junior: "Sono un ragazzo molto fortunato, la mia vita è stata avventurosa, tante cose sono state dure ma poi si sono risolte"!




La via della musica
All'Alliance Française di Bujumbura incontra la cantante burundese Daiana Kanyamozi. La conoscenza dà buoni frutti e inizia a cantare con lei nel ruolo di back up, ovvero accompagnatore musicale. Non c'è alcuno stipendio ma almeno i pasti sono garantiti.
Diana gli concede anche la possibilità di cantare una canzone durante uno spettacolo, una buona opportunità di affacciarsi al palcoscenico. In una città dove il panorama musicale non lascia intravedere grandi opportunità, arriva inaspettatamente il famoso cantante franco-congolese Lokua Kanza, neanche a farlo a posta il cantante preferito di Junior. Motivo della visita? Ascoltare artisti locali per scoprire qualche nuovo talento: un'occasione semplicemente da non perdere!
Junior Gringo -chiamato così fin da bambino dagli amici dopo la proiezione di un film western -  è solo un ragazzino, non ha invito né credenziali per poter avvicinare un personaggio così importante. Prova a chiedere il permesso agli organizzatori dell'evento ma la risposta è un sorriso ironico: tutto è già stabilito, nomi dei cantanti e degli strumentisti che faranno l'audizione. E’ troppo triste vedersi chiuso questo spiraglio.
Non si dà per vinto, il giorno dell'evento aspetta la star davanti l’ingresso dell'Alliance Francaise, e quando questi arriva gli si fionda incontro per salutarlo. Intraprende con coraggio l'unica via possibile e viene ripagato, a sorpresa da Lokua che felice ricambia il suo abbraccio. A quel punto Junior gli spiega di voler cantare ma di non essere nell'elenco e così è invitato dall'esaminatore in persona alle audizioni. Quando Lokua chiede di ascoltare i candidati separatamente tutti rimangono interdetti. Pensavano di dover cantare e suonare in gruppo, la novità li intimidisce. Alla richiesta di chi voglia rompere il ghiaccio nessuno alza la mano... nessuno tranne Junior: ora o mai più!  Sono presenti giornalisti, fotografi e tanti ospiti, lui è timidissimo, esordisce contratto con le mani in tasca. Conosce bene le canzoni di Lokua e ne canta una, questi si compiace e sorride. Alla fine riceve l'applauso e un pollice in alto: canta bene, ha una bella voce ma ancora non ha il portamento di un cantante professionista. La sera stessa Lokua lo invita a cena, Junior ricorda ancora queste parole: "Mi raccomando non lasciare la musica, sei giovane e bravo, ancora qualche anno e sarai pronto!"
Quel giorno Junior riceve un'ulteriore conferma circa la sua strada, essere stato apprezzato da un artista del calibro di Lokua Kanza vuol dire che ha davvero il potenziale per diventare professionista e raggiungere il successo.


L’approdo in Tanzania …via Uganda
L’incoraggiamento ricevuto lo spinge a cercare fortuna altrove, dal Rwanda all'Uganda il passo è breve, stavolta non guarda indietro e prosegue il suo viaggio.
Approda a Kampala, una città grande e animata dove spera in nuove opportunità. Il primo periodo si sistema da alcuni parenti della mamma, dopo solo due settimane viene ingaggiato da una jazz band.
Mi confessa: "Durante il provino erano molto scettici perché non sapevo l'Inglese, mi hanno accettato per la bellezza della voce."
Durante il periodo ugandese colma la lacuna linguistica arricchendo il suo bagaglio culturale. Oggi ricorda orgoglioso di essere riuscito a pagarsi una stanzetta per la prima volta in vita sua. Soggiorna circa tre anni a Kampala poi decide che è il momento di cambiare, desidera nuove esperienze.
Tuttavia le cose non vanno come aveva pianificato, voleva raggiungere Dar es salaam ma il denaro è finito per le spese di vitto e alloggio a Bukoba nell'attesa della nave per attraversare il lago Vittoria, il permesso per l'ingresso in Tanzania e il trasporto. Il suo peregrinare lo conduce nel nord della Tanzania, nella città di Mwanza, ma è un disastro:  rimane quasi due anni, durante i quali soffre la fame e dorme sulle sedie di plastica dello stesso locale nel quale canta, un postaccio dove la retribuzione è a stento sufficiente per i pasti. E’ il periodo più brutto della sua carriera e forse della sua vita. Un boss locale, pessimo elemento, conosciuto in città con il nome di Matata, lo ingaggia per il suo hotel promettendogli un futuro migliore ma di fatto continuandolo a sfruttare. Durante un concerto stringe amicizia con Samuel, un ragazzo israeliano. Indirettamente, è la sua àncora di salvezza, tramite lui conosce Josephat, un pastore protestante della Glory of Christ tanzanian church, che lo invita a raggiungerlo nella sua abitazione di Mikocheni, un quartiere a nord di Dar es Salaam. Questi lo adotta come un figlio e lo introduce nella sua chiesa dove intraprende la carriera di cantante Gospel. La chiesa protestante di Mikocheni conta migliaia di fedeli che ogni domenica affollano il grande spazio dedicato alle funzioni. Nell’ambiente si fa subito notare e apprezzare da tutti. L'incontro con Deo Mwanambilimbi, fondatore e cantante dei Kalunde band e suo vicino di casa, gli apre la strada alla carriera da professionista. Un giorno l'ho invita a un concerto e gli fa cantare una canzone probabilmente solo per gioco. Sentendolo, rimane così colpito da scritturarlo. La band è conosciuta e apprezzata, vincitrice per due volte consecutive, 2007 e 2008, del Tanzania Music Awards. Nel Gennaio 2011 ho accompagnato Junior e Deo al Tanzania Music Awards 2011, l'evento nazionale più importante che premia le migliori band, canzoni e cantanti! Il solo fatto di partecipare è stato un bel successo per Junior.


Il cantante
Junior è un ragazzo semplice, onesto e affettuoso con ottime idee e fantasia. Non lesina energie e ci mette passione, si diverte, gli piace il suo lavoro, è sempre a caccia di nuove ispirazioni. Canta e scrive canzoni in Inglese, Francese, Swahili e Lingala (suo dialetto d’origine).
Il suo repertorio include musica moderna tradizionale tanzaniana, congolese e africana, pop e cover internazionali. Ha da poco fondato una sua band e coltiva il progetto di incidere un album da solista. Insieme abbiamo girato un video per la nuova canzone intitolata "Safari", tipica espressione Swahili che vuol dire "viaggio".  
E' l'anima del gruppo, il jolly della band, a volte fa il burlone e condisce tutto con ironia e allegria. È colui che può creare da un momento all'altro la variante vincente, il fuori programma. Grazie al suo carisma e alle sue potenzialità è diventato un punto di riferimento: non si diventa leader per caso. Non sono un intenditore di musica, apprezzo la sua voce e le sue doti artistiche, sono testimone delle sue qualità umane.
Dai suoi occhi traspare un'insolita dolcezza, la stessa percepita nella sua voce che sa essere anche grintosa ed energica, catturare l'interesse dell'ascoltatore e trasmettere emozioni. Nel suo quartiere tanti conoscono Junior Gringo, gli vogliono bene, non potrebbe essere altrimenti, mi spiego come mai in passato sia stato sempre aiutato ben volentieri da tutti, di certo non è stata solo questione di fortuna.
Junior mi ha raccontato una storia tramandatagli dalla madre quando era bambino. “Ci sono tre pentole, nella prima una carota, nell'altra un uovo e nell'ultima dei chicchi di caffè. Messe le pentole sul fuoco dopo una decina di minuti la carota si cuoce e diventa morbida, l'uovo diventa solido ed i chicchi di caffè rimangono invariati colorando l'acqua.” La metafora riconduce a tre tipologie di uomini: i primi come le carote sembrano duri e pronti a qualsiasi situazione ma alla prima difficoltà si "ammorbidiscono";  i secondi apparentemente fragilissimi come le uova crude, all'occorrenza possono rivelarsi capaci di reagire con maggiore solidità; i terzi come il caffè apparentemente non mutano ma riescono ad adattarsi a tutte le situazioni senza problemi.

Parlando di sacrifici, rischi, impegno e tenacia per realizzare i propri progetti Junior Gringo ha commentato: "È come entrare nel cerchio dei pericoli e delle sfide, c'è chi proprio non vuole saperne e rimane fuori. Chi entra ma rimane bloccato e impaurito non sapendo cosa fare. Chi entra lo attraversa e meravigliato esclama: ce l'ho fatta! "
Conclude: "Molti ragazzi pensano positivo, molti altri negativo. In Congo ci sono tantissimi cantanti più bravi di me solo che non hanno creduto di potercela fare o non hanno avuto possibilità. Sei cresciuto insieme agli amici e hai fatto con loro le scuole, poi ognuno ha preso la propria strada, probabilmente qualcuno ti avrà detto: "Sei pazzo ad andare in Africa!"
Un tuo amico leggendo il tuo articolo potrebbe pensare che non sia il migliore, o che non scrivi per la migliore rivista in circolazione, però tu sei partito per un paese lontano, non sei rimasto a casa scrivendo comodamente dalla tua stanza, sei venuto qui con impegno e volontà. Ho trascorso molto tempo chiedendomi se avrei mangiato, il giorno dopo: quando arriva un'opportunità bisogna impegnarsi al massimo e darsi da fare per realizzare i propri sogni. Bisogna combattere, lavorare sodo per vivere come un re.”




 JUNIOR PASCAL GRINGO

activist singer, Afro Pop Folk



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myspace: junior mtombo









Alcuni riferimenti per ascoltarlo su youtube:
http://www.youtube.com/watch?v=zvKQ5u_WPyg
http://www.youtube.com/watch?v=msCZmEkWhn8
http://www.youtube.com/watch?v=j6yhYpR4d-o